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Takashi e Midori Nagai: adesso e nell’ora della nostra morte

24 maggio 2024
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Il 9 agosto 1945, tre giorni dopo che Little Boy aveva devastato Hiroshima, Fat Man era stata sganciata su Nagasaki. Due bombe a cui una perversione dell’ingegno umano aveva dato nomi comuni di persona.
È qui, a Nagasaki, nel quartiere di Urakami, che il 2 maggio 1951 chiudeva gli occhi Takashi Paolo Nagai, medico radiologo giapponese. Morì come un seme nel bel mezzo del deserto atomico, nel suo Nyokodo, una capanna di legno due metri per due, che alla lettera si traduce “la casa del Come-te-stesso”.

Takashi era giunto a Nagasaki da Matsue, prefettura dello Shimane, per gli studi di medicina. In cerca di alloggio, tre volte aveva bussato alla porta dei Moriyama, una famiglia discendente dei kakure kirishitan (i cristiani nascosti) finché non vi fu accolto. Con questi cristiani Takashi, nipote di samurai e ateo scientista, spartì il pane quotidiano, ne osservò i ritmi, la loro vita di preghiera, un’umile eppure altissima dignità alla quale perfino un samurai avrebbe potuto fare l’omaggio del suo rispetto.
Nel ‘32 la figlia dei Moriyama, Midori, lo invitò alla messa della notte di Natale e quella notte Takashi intravide una luce che nessun ordigno atomico avrebbe potuto mai uguagliare o spegnere: il tesoro che i cristiani custodivano.

I kakure kirishitan cantavano che nel segno di Maria la Chiesa sarebbe rinata in Giappone, e Maria fu davvero madre e amica di Takashi e Midori nella parabola della loro bellissima vita. Alcuni fatti li citeremo qui.
L’anno 1933 Takashi partì per la guerra in Manciuria, e Midori aveva cucito per lui un maglione. Poi aveva pregato così: «O Maria, come mi è sembrato triste ieri sera, così solo. Ha perso sua madre, lo sai. Ti supplico, prendi tu il suo posto. Ti prometto che dirò il Rosario per lui ogni giorno e gli scriverò delle lettere che lo confortino come avrebbe fatto sua madre. Aiutami a mantenere questa promessa. Maria, custodiscilo e fallo tornare perché arrivi a conoscere Cristo attraverso i suoi malati». La madre di Takashi era morta tre anni prima, e nell’ultimo sguardo che gli aveva rivolto, lui aveva chiaramente visto che lo spirito umano continua a vivere dopo la morte.
Di ritorno dalla guerra, Takashi chiese il battesimo assumendo anche il nome di Paolo (dal martire gesuita Paolo Miki, crocifisso nel 1597), legandosi fedelmente alla preghiera mariana del santo Rosario, assieme a Midori, con la quale si sposò nell’agosto del 1934.
Durante la seconda guerra in Manciuria, era la Vigilia di Natale del 1939, l’armata cinese aveva neutralizzato 300 soldati giapponesi e altri 240 erano ormai circondati. Il comandante diede ordine a Nagai che se l’esercito nemico avesse attaccato, avrebbe dovuto cospargere di benzina i dormitori e le bandiere della nazione e appiccare il fuoco, facendo salvo l’onore. Nagai non rispose, si appartò in un luogo solitario e iniziò a pregare il Rosario: lo chiamava la sua “chiesa tascabile”. Era talmente immerso nella preghiera che neppure si accorse dell’arrivo di un commilitone, che annunciava: «Signore, la crisi è passata!». I rinforzi avevano ingaggiato battaglia con i cinesi, impedendone l’assalto. La preghiera era stato il suo atto estremo di disobbedienza, ma era valsa la vita dei suoi fratelli.
Un altro episodio, inafferrabile dalla sola ragione, accadde verso la fine della sua vita. Al momento dell’esplosione di Fat Man, Paolo si trovava in un bunker dell’ospedale di Nagasaki dove lavorava da radiologo e dove proprio l’esposizione alla radioattività gli aveva procurato una leucemia mieloide. Il bunker lo protesse dalla devastazione, ma nell’impatto si era procurato una ferita alla tempia che non riusciva a rimarginarsi, nonostante le molte cure. Tentarono un ultimo intervento, ma senza una reale speranza. Fu allora che sentì una voce di donna, che lo incoraggiava a pregare Massimiliano Kolbe: all’istante la ferita alla tempia si rimarginò. Esiste una foto documentaria di una radiografia ai polmoni che lo stesso Takashi aveva fatto al francescano polacco negli anni ’30, quando era stato in Giappone per fondarvi un convento e un giardino dedicato alla Vergine Immacolata. I due si erano dunque già incontrati, ma per la scarsezza di notizie dal fronte occidentale, nessuno in Giappone poteva ancora aver appreso del sacrificio di Kolbe. Così la Vergine Madre di Dio continuava a immischiarsi nella storia di Takashi, riparando ferite e insegnando a quel samurai cristiano l’arte di essere discepoli.

Due giorni dopo l’esplosione, Nagai poté finalmente visitare il suo quartiere, lì dove era rimasta Midori. La trovò in cucina, un grumo di ceneri, dal quale si riconosceva soltanto il cranio, il bacino e, nella mano destra, un Rosario. «Carissimo Dio – esclama Takashi – grazie per averle permesso di morire pregando. Madre dei dolori, grazie per essere stata con la tua fedele Midori nell’ora della sua morte». Chi potrebbe pronunciare queste parole dinanzi alle ceneri della propria moglie? Ancora una volta un uomo che sa, e ha visto, che l’anima non muore. Scriveva: «Quando ho capito che ciò che dovevo cercare è qualcosa che non muore, una nuova e grande speranza si è insediata del mio cuore». C’è un disegno tenerissimo di Takashi, che ritrae Midori sulla nuvola atomica nelle sembianze della Vergine Assunta in cielo.

La storia degli sposi Takashi e Midori continua ad essere raccontata. Molto oggi si deve all’impegno del Comitato Amici di Takashi e Midori Nagai – riconosciuto attore canonico dalla diocesi di Nagasaki e costituito a Roma il 23 marzo 2021 – che porta avanti la causa di beatificazione di questi due testimoni del Giappone cristiano contemporaneo, maestri del Rosario e cantori della speranza contro ogni speranza.

Fr. Andrea Gatto ofmcap

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