Ascolto, dialogo e testimonianza. Gli strumenti per essere artigiani della pace
Non possiamo essere indifferenti. La condizione fondamentale è avere la pace dentro di sé per trasmetterla agli altri e costruirla. Ma è vero che la via per arrivarci è l’educazione
La Pace è un luogo dove arrivare o una realtà da costruire? Da questa domanda, con l’autrice Margaret Karram e gli ospiti intervenuti al Salone - Rosanna Tabasso, presidente Sermig- Arsenale della Pace, Don Marco Pagniello, direttore Caritas Italiana e fr. Fra Carlo Maria Chistolini, presidente Fonadzione Assisi Missio- abbiamo cominciato la nostra riflessione.
Negli ultimi 3 anni le guerre nel mondo sono aumentate del 40%, 1 persona su 6 vive in un’area di guerra, 161 Paesi nel mondo vivono conflittualità di vario tipo.
Non possiamo essere indifferenti. La condizione fondamentale è avere la pace dentro di sé per trasmetterla agli altri e costruirla. Ma è vero che la via per arrivarci è l’educazione – afferma Karram - penso quanto sia stata importante l’educazione dei miei genitori che ci hanno insegnato la convivenza. Io sono nata a Haifa in Terra Santa in un Paese multiculturale dove ci sono 3 religioni, e da piccola ho imparato che si può vivere accettando l’altro diverso da te, anche se a volte è uno che non può vivere con te, per problemi culturali, religiosi o politici. Per me è stata importante anche l’educazione ricevuta a scuola, ho frequentato fino a 12 anni scuole dove stavo con bambini e ragazzi musulmani: questo mi ha sicuramente educata alla convivenza, al dialogo, al riconoscere l’atro.
Per Don Marco Pagniello, direttore Caritas Italiana la pace è un dono che viene da Dio ma è anche un impegno per far trasparire ciò che portiamo nel cuore.
Suggerisce due vie per essere artigiani di pace.
La prima è favorire una cultura dell’incontro. I pregiudizi, gli stereotipi troppe volte dividono e separano, tracciano confini che non sono solo geografici, ma esistenziali. Anche nei nostri processi educativi qualcuno ha messo dentro di noi dei confini – sottolinea Don Marco – dunque andare oltre questi confini, favorire l’incontro diventa conoscenza e scoperta dell’altro, diventa ricchezza, e anche scoperta perché chi è apparentemente diverso da noi ha forse ha gli stessi sogni e gli stessi desideri.
La seconda via è quella di generare sempre più consapevolezza. Andare in fondo alle narrazioni che ascoltiamo quotidianamente per darci l’opportunità di scoprire che spesso dietro ad una mancata pace ci sono interessi economici o personali di “qualcuno”. Informarsi ed educare, non solo le nuove generazioni, ma tutti a tenere alta l’attenzione su ciò che succede e cambiare anche qualcosa nel nostro stile di vita, perché se si vuole un cambiamento, il cambiamento deve partire da sé stessi.
Rosanna Tabasso ha raccontato quanto lo scoppio della guerra in Ucraina abbia segnato un punto di svolta nella sua vita. Dopo 50 anni di servizio aveva visto la speranza di una pace consolidata, ma, con quella guerra, si è dovuta chiedere a cosa fosse servito tutto ciò che era stato fatto da chi insieme a lei aveva parlato, testimoniato, lavorato e costruito per la pace.
Ho dovuto lavorare su di me per ritrovare le ragioni della pace – ha condiviso – e devo dirlo sinceramente ho ringraziato di essere credente perché ho ritrovato le ragioni della pace nello sguardo di Dio sull’umanità. La pace è un suo dono che però ci sporca le mani, perché non è un dono dato che ci lascia così come siamo ma è un dono dato che va accolto che va fortificato che va costruito giorno dopo giorno.
Le nuove generazioni stanno crescendo bombardate da notizie di guerra, di violenza e crudeltà spesso gratuite. Quanto ne sono contaminate e, soprattutto, cosa si può fare per non assuefarsi alla violenza e alla guerra è stato un altro aspetto toccato durante l’incontro.
La pace non è solamente assenza di guerra è uno stile di vita che ciascuno di noi dovrebbe avere dentro di sé e testimoniare – ha affermato Don Marco – la pace e il contraltare, la violenza, si nutrono di parole e di gesti. Il suggerimento è quello di fare una controinformazione. Narrare maggiormente la bellezza, la gioia, il bene perché il bene c’è, e a volte il conflitto, la guerra nascono nei piani alti, mentre le persone comuni stanno in pace.
E sui giovani: Il dialogo intergenerazionale è una via che costruisce pace. I giovani sono forse più liberi di noi adulti nel costruire pace, perché non hanno vissuto certe situazioni, le sentono lontane e sono più facili ad incontrare persone di culture diverse. Ma non vanno lasciati soli, proprio perché sono così liberi e così disponibili a volte possono fare incontri che li sviano da ciò che è veramente importante.
Fra Carlo ha ricordato le parole di Francesco, “Oh Signore fa di me uno strumento della tua pace” e nel ricordare che ognuno di noi è chiamato a diventare quello strumento ricorda le parole del Santo di Assisi al termine della sua vita, quando dirà ai suoi frati raccolti intorno a lui “io ho fatto la mia parte ora il Signore vi insegni la vostra”. Ha ricordato poi gli 11 anni che ha passato in missione tra gli Indios della foresta amazzonica dove ha incontrato sete di pace, di bene, di verità e dove il Vangelo è la bella notizia di cui tutti noi siamo assetati. Ognuno può dunque fare la sua parte, ci ha ricordato, sottolineando che: il bene per sua natura è diffusivo, è che se è vero che il male cresce, c’è un seme di bene che cresce nel cuore di ognuno da far germogliare attraverso un gesto, una parola, uno sguardo.
Per Margaret i giovani vivono in un mondo in cui non hanno sicurezze per il futuro. Per questo sta agli adulti riuscire ad essergli vicino, non tanto per insegnare loro qualcosa, ma per accompagnarli nel viaggio della vita. Il dialogo è il punto di partenza fondamentale e non solo per i giovani.
Il dialogo tra generazioni, tra persone di realtà, religioni e culture diverse. Il dialogo apre la porta sul mondo all’altro ed è il primo passo che ci fa scoprire che siamo fratelli e sorelle.
Margaret ha citato a tal proposito Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei focolari: “Dialogare significa anzitutto porsi sullo stesso piano, non crederci meno degli altri, si può dialogare con chiunque anche col più piccolo col più miserabile, dialogare significa spostare tutto per poter entrare nell’altro. Dopo, naturalmente, chiedere anche all’altro di ascoltare noi. E questo dialogo realizza la fratellanza universale”.
Il dialogo, dunque, non come tattica da applicare quando non si può fare altro, ma un’attitudine che va messa in pratica e che, piano piano, diventa uno stile di vita.
Quello che possiamo fare verso i giovani – ha aggiunto Karram – è aiutarli a non essere ignoranti, perché l’ignoranza porta alla paura e la paura porta all’odio. Dobbiamo trovare il modo di incontrarci per conoscerci e imparare l’altro, la sua cultura, la sua lingua, la sua vita. E compiere azioni concrete per favorire questo genere di incontri.
La cofondatrice e presidente del Serming - Arsenale della Pace, Rosanna Tabasso, ritiene i giovani patrimonio della pace. Ne vede tanti ogni giorno e li descrive come lasciati soli negli ultimi decenni rispetto ai grandi valori che le nostre generazioni hanno visto. Ci spiega: Noi siamo vissuti in un’epoca in cui i valori erano forti sia da un punto di vista religioso sia da un punto di vista civile. Oggi, viviamo in una società fluida in cui nulla è più certo e nulla è più sicuro, solido e le nuove generazioni non poggiano più sulla roccia, ma su sabbie in continuo movimento. I giovani sono spesso leggeri e volatili in balia di chi li acchiappa prima, questo è il vero dramma, non trovano più valori neppure all’interno delle famiglie e a scuola non trovano la formazione solida che speriamo e desideriamo per tutti. Sono ragazzi belli dentro, ma completamente persi, non hanno dove agganciare la loro vita, il loro futuro. Hanno bisogno di punti di riferimento su cui poter agganciare la loro bellezza interiore, perché se non la vedono in noi adulti come fanno a riconoscerla dentro di loro?
L’Arsenale è nel quartiere di Porta Palazzo a Torino – ha raccontato – un quartiere multietnico e multireligioso. Accogliamo bambini e ragazzi che vengono a fare i compiti, a giocare, a fare varie attività. Ci siamo resi conto che amano stare insieme, riconoscersi amici, amano la pace veramente, e sono disposti a dialogare con ragazzi e bambini diversi da loro, per provenienza, colore, cultura e religione, perché si sentono di appartenere a un luogo comune a tutti, una casa di tutti. Bisogna dunque dare ai ragazzi un luogo in cui potersi formare, dare loro lo spazio, il tempo, l’ascolto…
L’ascolto per dirla con Margaret è entrare nell’altro, lasciarsi sfiorare dall’altro, ma non invano. Tutti ci sfioriamo ma quale è la qualità di questo sfiorarsi?
Sottolinea Margaret: “Nessuno ci sfiora invano” è una frase di Chiara Lubich che Monica Mondo ha preso come titolo del libro. È ciò in cui io credo: nessuna persona passa inutilmente perché ognuno, nell’ascolto profondo, ha qualcosa da insegnarci e, se noi impariamo da ciascuno, il mondo cambierà. Questo mi dà speranza.
Il libro di Margaret Karram non è una narrazione politica, né geografica, né del conflitto israelo-palestinese. È scritto prima del 7 ottobre – ci tiene a sottolineare l’autrice – data in cui ho sofferto molto perché gli sforzi di una, di tante vite, erano sembrati svanire nel nulla. Ma così non è, perché un giorno ciò che si semina si raccoglierà, l’importante è continuare a seminare.
Nello scrivere questo libro Margaret ha voluto dare una goccia di positività perché tutto quello che sentiamo nel mondo è tanto negativo. Le notizie raccontano solo cose drammatiche. Attraverso la storia del mio popolo, la mia, dei miei genitori volevo dare una voce di speranza. Non perché sia facile vivere o credere. No, non è facile. Ogni giorno, io rinnovo questo impegno con forza e coraggio, l’importante è non scoraggiarsi e continuare a credere, così conclude Margaret e si congeda con una citazione di Papa Giovanni XXIII: “Non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni. Non pensate alle vostre frustrazioni, ma al vostro potenziale irrealizzato. Non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito, ma di ciò che vi è ancora possibile fare”.