Spiritualità

Vadano per l’elemosina con fiducia!

martedì 17 dicembre 2024 di fr. Andrea Gatto OFMCap
Ma Francesco, come pensava alla questua?

La Regola bollata (1223) e il Testamento (1226) subordinano la questua (l’elemosina) alla grazia di lavorare. Chi poi non ha alcun lavoretto da svolgere – così continua il discorso di Francesco nella Regola non bollata – ricorrerà all’elemosina, come gli altri poveri.. Nell’intenzione di Francesco l’attività di mendicare era: segno e condizione di “somiglianza” con la povertà e l’itineranza del Cristo, e dunque un privilegio; un modo di sostentarsi, quando il proprio lavoro non fosse remunerato o non bastasse, abitati da un atteggiamento profondo di fiducia; un «servizio circolare» con cui i fratelli si prendevano cura gli uni degli altri, come le madri con i figli; un’occasione di annuncio della pace agli uomini. Non sono rari i passaggi delle fonti francescane in cui si narra del valore dell’elemosina per Francesco: i frati minori erano stati benedetti dal privilegio di essere loro stessi i più piccoli fratelli del Cristo destinatari della carità (Mt 25,31), spingendosi perfino a dire che la vera vergogna è vergognarsi di mendicare. Lui stesso prediligeva le questue volontarie alle elemosine spontanee e si dimostrava severo (quanto potesse esserlo un uomo come Francesco!) verso i “frati mosche”, coloro cioè che non volevano umiliarsi nella mendicità, ma si approfittavano del servizio degli altri fratelli.

 


 

            Dopo la Riforma cappuccina, i primi documenti che leggiamo sulla questua sono testi normativi. Le prime costituzioni e i primi commenti alla Regola disciplinavano questioni di “economia” domestica e di comportamento: ad esempio, stabilivano per quanto tempo bisognava provvedere alle necessità della fraternità (e cioè in media un approvvigionamento per non più di tre o quattro giorni); proibivano la questua per molti giorni, ma si poteva prolungare fino a una settimana in caso di una reale esigenza o di una lunga distanza da coprire (a piedi o su un asino); quali beni primari accettare e quali no, prestando attenzione ad evitare il superfluo, l’esotico e il prezioso; quali frati inviare alla questua, ad esempio se inviare i frati più giovani per esercitarli nell’umiltà o perché non cedessero alla pigrizia; imponevano di servirsi di un mediatore se l’offerta fosse stata in denaro (ai frati, di fatto, era interdetto il contatto con la moneta); frequentemente si raccomandava uno spirito di povertà e di risparmio nel solco di una austerità, più che lieta, diremmo severa, d’accordo anche con i tempi in cui fiorirono gli ordini mendicanti – tempi in cui questa forma di sostentamento era ampiamente riconosciuta ed accettata. Poiché inoltre si trattava di un mezzo strutturale di sostentamento, si scoraggiava l’uso di comprare o far comprare da altri quanto si poteva ottenere mendicando (in particolare il cibo).

Per lungo tempo, dunque, la questua è stata la fonte principale del sostentamento delle nostre fraternità, e fu affidata soprattutto ai fratelli cosiddetti laici, cioè non sacerdoti, che alla fine del ‘500 erano la metà di tutti i frati (secondo una stima del 2019 i fratelli laici sono il 18,8% di tutti i frati). Eppure i primi frati della nostra Riforma tenevano molto che l’impegno di questuante fosse responsabilmente assunto da tutti, sacerdoti e non sacerdoti.

Se ancora in qualche villaggio o cittadina delle province italiane, si ascoltano le invocazioni nostalgiche di un ritorno dei cappuccini questuanti, è grazie ai molti fratelli che hanno battuto con umiltà le strade di questo paese, contribuendo a formare nella memoria del nostro popolo l’immagine del cappuccino come frate del popolo, poi divenuta quasi una caratteristica del carisma, insieme a quella del cappuccino eremita e del cappuccino predicatore.

            È intorno al ‘900 che si verifica quella lunga serie di eventi – che non dirò sfortunati, perché non vediamo mai dove la storia è guidata – che hanno condotto a un riassetto economico-finanziario del nostro ordine. L’inizio della faccenda furono i problematici rapporti tra Chiesa e Stato negli anni della soppressione (dal 1866), quando vocazioni, beni e mezzi di sussistenza della Chiesa furono drasticamente ridimensionati, ed essa fu costretta a ripensare il proprio sostentamento secondo nuove forme di economia. I Patti Lateranensi (1929), riconcordati nell’84, garantirono un reddito ufficiale (la cosiddetta congrua) oltre che la defiscalizzazione delle offerte ricevibili, fino all’istituzione della “famigerata” quota dell’8xmille, che ad oggi è un prezioso e concreto aiuto alla Chiesa che fa il bene. I detrattori dell’ottopermille, in molti casi, non si preoccupano di documentarsi sull’uso che le chiese, in effetti, ne fanno.

            Altro tassello della storia: con la lettera apostolica del ‘66 Ecclesiae sanctae, S. Paolo VI stabilisce l’assegnazione di parrocchie agli Istituti religiosi: chiamati all’appello per una collaborazione più capillare nel tessuto microsociale delle diocesi, anche i frati parroci (o destinati ad altri analoghi uffici ecclesiali) crebbero di numero e, rientrarono nella corrispondente legislazione retributiva, cominciando a godere di un inedito mezzo di sussistenza, quello propriamente clericale; a questo si aggiungono i mandati di cappellania negli ospedali e degli istituti penitenziari, oltre che le pensioni civili. In estrema sintesi è così che si sostentano oggi i frati minori, frati che non per questo cessano di lavorare del lavoro delle proprie mani e del proprio intelletto, molto spesso con la gioia e l’entusiasmo della gratuità.

A questo si deve aggiungere che si delinea un nuovo profilo del fratello non sacerdote, in un mondo sempre più scolarizzato. Lo stesso Concilio Vaticano II, protraendo la formazione oltre il tempo del noviziato, ha incoraggiato una più dinamica visione dei membri laici tra i religiosi, che oggi troviamo impegnati tanto nelle opere di carità quanto anche nell’insegnamento e in altre professioni.