La posta dell’anima

Sul sacramento della Riconciliazione

Fra Carmine Ranieri
La difficoltà nel confessarsi quando il sacerdote ci pone troppe domande

Caro fra Carmine,

lo ammetto: non amo la confessione. E comunque non sono tra quelli che quando vanno a comunicarsi dicono: «Tranne che ammazzare, gli altri peccati li ho fatti tutti!». Ma, francamente, non accetto che alcuni sacerdoti chiedano la spiegazione minuziosa degli errori commessi. Non sento nulla di misericordioso in questo atteggiamento. Mi sbaglio? Lei cosa ne pensa?

Con stima e affetto.

Caro lettore,

è opportuno distinguere se stiamo parlando di curiosità – certamente mai appropriate nell’ambito della confessione sacramentale – o di domande mal poste dal confessore. Di per sé, stando al Catechismo della Chiesa Cattolica si precisa che “è necessario che i penitenti enumerino nella confessione tutti i peccati mortali” (CCC 1456) e il Codice di Diritto Canonico esplicita ulteriormente la questione dicendo che “il fedele è tenuto all’obbligo di confessare secondo la specie e il numero tutti i peccati gravi commessi dopo il Battesimo e non ancora rimessi mediante il potere delle chiavi della Chiesa, né accusati nella confessione individuale, dei quali abbia coscienza dopo un diligente esame” (can. 988,1).

Sta di fatto che colui che si avvicina al sacramento, si presuppone voglia sinceramente riconciliarsi con il Padre e con la Chiesa, per cui merita sempre delicatezza e rispetto, tra l’altro anch’essi vivamente raccomandati al sacerdote dallo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica. Ma mi piace concludere pensando al miracolo che il pentimento e la misericordia operano nel cuore del credente.

Mi è di aiuto una tradizione artigianale giapponese, denominata kintsugi (che vuol dire “riunire con l’oro”), che consiste nel riparare il vasellame di ceramica non nascondendo la traccia della rottura, ma mettendola in risalto mediante una saldatura cosparsa di polvere d’oro. L’artista, in questo modo, sottolinea con l’oro le cicatrici dell’oggetto rotto e – paradossalmente – con questo processo, rende l’oggetto recuperato più bello e più prezioso di prima. La sua nuova fisionomia ha la bellezza dell’unicità e dell’irripetibilità, che si ottiene mediante un processo lungo, meticoloso e che – per quanto non impedirà al vasellame di rompersi di nuovo – ci offre un interessante legame tra fragilità e bellezza, come appunto tra la creaturalità e la misericordia.