Il cappuccino che predica ai papi
Dialogare con padre Raniero Cantalamessa è come abbracciare una vera e propria “istituzione”.
Frate cappuccino, teologo, accademico e scrittore, con oltre 300 libri pubblicati. Nella Chiesa di oggi è conosciuto soprattutto per la sua lunga attività come predicatore ufficiale del papa e per aver commentato il Vangelo della domenica nella rubrica di Rai Uno “Le ragioni della speranza”.
Un grande divulgatore che presto sarà anche una delle penne di Frate Indovino. A 85 anni, portati in modo ammirevole, continua a essere un viaggiatore infaticabile e a predicare la Parola di Dio in ogni parte del mondo.
Padre Raniero, con quale spirito affronta un compito così importante?
Lo Spirito è quello con la S maiuscola. Se non ci fosse questa “forza”, sarebbero solo parole. E invece penso di non seminare solo quelle, ma anche un messaggio di speranza e di fede: il messaggio del Vangelo. Dal punto di vista umano ho una grande gratitudine per il Signore, per il dono che mi ha dato. Spesso devo predicare al papa e ai vescovi. Ma loro sono i mietitori del campo di grano e io il ragazzo che porta loro l’acqua, come facevo da piccolo, ai tempi dei miei nonni. Quando non è impegnato con la predicazione o non è in viaggio, vive nel silenzio di un eremo.
Che rapporto c’è tra la parola e il silenzio?
Sant’Ignazio di Antiochia, martire del secondo secolo, diceva che Gesù stesso è la parola uscita dal silenzio, dal silenzio eterno della Trinità. Nella storia della Chiesa, la Parola esce dal silenzio, cioè dall’ascolto. Perché il silenzio non è il vuoto, ma significa ascoltare. Negli ultimi dieci anni, il Signore ha disposto le cose in modo che io possa dare più spazio al silenzio. Vivo con un piccolo gruppo di clarisse cappuccine che osservano la regola degli eremi, alternando lavoro a vita contemplativa. Quando sono lì, l’unico contatto che ho con il mondo è una messa che dico la domenica pomeriggio per un gruppo di persone del posto. È un bell’esercizio passare dalla predicazione al papa, ai vescovi o nelle grandi udienze a quella di questo piccolo auditorio di poche persone semplici. In effetti, oggi siamo tutti letteralmente inseguiti dal “frastuono”.
Come possiamo riconquistare la dimensione del silenzio?
Il problema è reale. Già Kierkegaard, filosofo e teologo che viveva nell’Ottocento, diceva che il mondo era malato di “chiasso”. Una specie di “diluvio di parole” che rischia di spazzare via tutto. A chi sente il richiamo di un minimo di interiorità e di approfondimento, non solo ai credenti, consiglio di trovare momenti e spazi di silenzio. Non accendere subito la televisione quando si torna a casa, fermarsi in chiesa se ci si passa accanto, ritagliarsi un fine settimana in luoghi adatti, evitando di passare da un chiasso all’altro. Non sempre è facile per chi vive in famiglia e magari non tutti ne sentono il bisogno. Il silenzio e l’ascolto non sono solo quelli che abbiamo intorno a noi, ma anche ciò che riusciamo a creare dentro di noi, per fare in modo che la nostra mente non sia agitata continuamente dai problemi. Bisogna fare un po’ di “digiuno” dalle parole, dalle immagini, dai telefonini.
Da maestro della comunicazione, che ne pensa del “comunicatore” papa Francesco?
È un comunicatore straordinario, con uno stile tutto suo: colloquiale, molto vicino a quello di Gesù, fatto di parabole, piccoli paradossi provocatori, proprio come nel Vangelo. Non è esattamente il mio stile, ma questa è una ricchezza, perché ci sono tanti modi di annunciare la Parola. Quello del papa di sicuro ha una presa sulle persone e lo si vede dall’eco che suscita ogni suo intervento del mattino a Santa Marta: arriva vicino, tocca la realtà, non è astratto.
Bergoglio ha riportato san Francesco d’Assisi al centro della vita della Chiesa e del mondo. Con quali risultati?
Sì, direi che ci sta riuscendo. E si vede anche dalle reazioni che suscita perché sono le stesse che c’erano intorno a Gesù e a san Francesco, specialmente agli inizi. Sto rileggendo ora i Fioretti: per due o tre anni, Francesco è stato considerato un pazzo. Per non dire di Gesù. Quando qualcuno proclama l’assoluto di Dio diventa segno di contraddizione, provoca reazioni, ci mette in crisi. Lo stesso accade per papa Francesco, perché lui vive quello che dice. La scelta preferenziale per i poveri, andare continuamente ai margini, cercare chi è nella sofferenza: questo è il Vangelo.
Torniamo a lei. Dal 1994 al 2009, con oltre 700 puntate della rubrica “Le ragioni della speranza” su Rai Uno, ogni sabato ha portato la Parola di Dio nelle case di milioni di persone. Cos’ha maturato attraverso quella esperienza?
Per molti è l’unico modo in cui mi conoscono e ancora oggi mi parlano come se mi avessero visto ieri. La televisione ha questo strano potere di entrare nelle case e farti diventare uno di famiglia. Mi è stata utile perché o parli e riesci a catturare l’attenzione delle persone oppure basta premere un bottone e sei fuori. In chiesa, anche se l’omelia è noiosa la gente non si alza e non esce. Ma in tv basta usare il telecomando. Tutto questo mi ha aiutato a mostrare sempre l’importanza della Parola di Dio sulla vita reale della gente. Come predicatore della Casa pontificia ha rivolto le sue meditazioni a tre papi: Giovanni Paolo II, Benedetto e Francesco... Quella di Giovanni Paolo II è una figura poliedrica: aveva capacità di sguardo sull’aspetto spirituale, dottrinale, economico, politico, diplomatico. Un grande comunicatore. Una personalità che considero “gigantesca”. Benedetto XVI è stato un teologo che ha arricchito e dato una pausa di riflessione alla Chiesa. Ha portato un fondamento e una visione dottrinale non stereotipati, una incredibile conoscenza della cultura e del mondo moderno. Per me, papa Francesco è Gesù. Un uomo profetico, libero, un pastore.
Tra le tante personalità che ha incontrato nella sua lunga vita c’è anche Madre Teresa di Calcutta. Cosa ricorda di lei?
L’ho incontrata due volte di persona e molto di più ho approfondito la sua figura nel preparare le meditazioni per l’anno della sua beatificazione, dalle quali è nato anche un libro. Prima ancora che una santa della carità, per me lei è una mistica perché ha vissuto in maniera eroica certi fenomeni che si ritrovano nei mistici della tradizione. La Madre Teresa che si vedeva in pubblico, sempre sorridente e sempre china sui malati, in realtà dentro aveva il buio più terribile. Mi ha molto impressionato questo suo eroico silenzio sulle sofferenze, che ha portato sempre nascoste sotto il sorriso e che sono venute fuori dai suoi diari solo dopo la morte.
Arriviamo a noi. Secondo lei, qual è il “cuore” della proposta editoriale di Frate Indovino? Il segreto è l’amore. Mi spiego: in tutto quello che si scrive o si dice, la persona deve aver chiara la percezione che non viene strumentalizzata, non è solo un lettore o un numero che fa audience. Un giornale che si ispira al Vangelo, non può essere una ditta che ha dei “clienti”. Al contrario, una comunicazione d’amore e di vita, nei modi più semplici, rispondendo ai bisogni della gente. E, per quanto umili e semplici, cercare di rispondere alle domande dell’uomo invitandolo a fare un salto di qualità. A volte dico che Dio è “povero” in matematica perché sa contare solo fino a uno, però quell’uno è ognuno di noi.
La semplicità è uno degli attributi delle riviste Frate Indovino e Voce Serafica. È un attributo anche evangelico? La semplicità è una virtù. Anzi, secondo san Tommaso d’Aquino, è il primo attributo di Dio. Però sappiamo che la semplicità può anche scadere fino a essere banalità. Puntiamo su quella francescana, cioè il modello di una semplicità che è essenzialità.
Quelle di Frate Indovino sono pagine che nascono dal mondo rurale di ieri. Come parlare anche alle metropoli di oggi?
Bisogna insistere e trovare la strada giusta, da una parte conservando il patrimonio di fedeltà alla tradizione e dall’altra guardando avanti. È il problema della cultura moderna, che dimentica le nostre radici in modo traumatico. Molti ragazzi di oggi non sanno come si fa il pane o altro del genere, le cose basilari. Una perdita di contatto con la natura, sempre più mediata da Internet e dal mondo virtuale. Bisogna aiutare le persone a mantenere un contatto vivo con il mondo, con la realtà concreta, terrena, anche contadina. Perché questo significa tornare in contatto con il creato, evitando il rischio che l’ecologia resti solo un’ideologia che contrappone le persone e i governi.
Lei ha accettato di collaborare con Frate Indovino, rispondendo ogni mese ai nostri lettori. Che domande si aspetta?
Di sicuro, non sono la persona adatta per dare risposte su problemi tecnici o su campi particolari. Piena disponibilità, invece, su cultura, Vangelo, vita spirituale, Chiesa, problemi esistenziali. Ma non chiedetemi di usare troppo la psicologia, come fanno tante rubriche di lettere. Cercherò di essere un padre spirituale. Anzi, per l’età, un nonno spirituale.
PADRE RANIERO CANTALAMESSA
Una vita dedicata alla carità e alla predicazione Classe 1934, padre Raniero Cantalamessa è originario di Colli del Tronto, nell’Ascolano. Frate cappuccino, è sacerdote dal 1958. Laureato in Teologia a Friburgo in Svizzera e in Lettere classiche alla Cattolica di Milano, nel capoluogo lombardo è stato professore ordinario di Storia delle origini cristiane e direttore del dipartimento di Scienze religiose dell’Università del Sacro Cuore. Nel 1979 ha lasciato l’insegnamento per dedicarsi a tempo pieno al ministero della Parola. È stato nominato predicatore della Casa pontificia nel 1980 da Giovanni Paolo II, confermato da Benedetto XVI nel 2005 e da papa Francesco nel 2013. È chiamato a parlare in molti paesi del mondo, spesso anche da altre confessioni cristiane. L’Università Notre Dame di South Bend (Indiana) gli ha conferito la laurea “honoris causa” in Giurisprudenza, seguita da quelle in Scienze della comunicazione all’Università di Macerata e in Teologia all’Università Francescana di Steubenville (Ohio). Come storico, ha scritto libri scientifici sulle origini cristiane, la cristologia dei padri, la Pasqua nella Chiesa antica e altri temi. Ha poi pubblicato numerosi altri titoli sulla spiritualità, frutto della sua predicazione alla Casa pontificia, tradotti in una ventina di lingue. Dal 1994 al 2009, ogni sabato sera ha tenuto su Rai Uno la rubrica di commento del Vangelo della domenica “Le ragioni della speranza”. Dal 2009, quando non è impegnato nella predicazione, presta il suo servizio sacerdotale in una piccola comunità di monache claustrali che vivono in un eremo cappuccino vicino a Rieti.