Luce, storia di una mascotte chiacchierata
Luce, la mascotte del giubileo che è alle porte, è un segno dei tempi. E faremmo un torto al buonsenso se pensassimo che la Chiesa Cattolica, da molti percepita come l’ultimo dinosauro che i meteoriti non sono riusciti a estinguere, non si sia posta in ascolto della nostra epoca.
Luce è una “creatura” che viene dall’ingegno di Simone Legno (romano, classe 1977), artista e fondatore del brand Tokidoki. È un manga e ha l’aspetto di una bambina con i capelli azzurro cielo, due occhioni con dentro le conchiglie dei pellegrini assetati, un k-way giallo-vaticano, un rosario al collo (forse pacchiano, ma di incontrovertibile partigianeria cattolica), la croce missionaria, il classico bordone del pellegrino e un paio di scarponcini fangosi (il fango è l’accessorio più interessante). Non è da sola: camminano con lei un angelo custode (Iubi), una colomba (Aura, pacifica compagnia dello Spirito), un cagnolino (Santino, fedele segno della provvidenza come lo era stato per san Rocco), e gli amici Fe, Xin, Sky, simboli delle genti e delle culture molteplici.
Una riproduzione della mascotte è stata presentata lo scorso 28 ottobre in una conferenza stampa del Dicastero per l’evangelizzazione, dalle parole di mons. Fisichella, che la descrive come «una felice unione tra simboli cristiani e cultura giapponese... nata dal desiderio di vivere all’interno della cultura pop, tanto amata dai nostri giovani». Luce e, con lei, la Deposizione di Cristo del Caravaggio, saranno inoltre gli ambasciatori della Santa Sede all’Expo di Osaka, in programma dal 13 aprile al 13 ottobre del 2025.
La Chiesa accoglie un linguaggio nuovo, facendosi tutto per tutti, come è stato l’intento di Paolo, per guadagnare a ogni costo qualcuno. Mons. Fisichella lo dice al termine della conferenza: «Speriamo che questa mascotte ci accompagni, che possa piacere a tutti». Queste parole potrebbero, è vero, generare il sospetto che forse si presta il fianco alla tentazione di “piacere agli uomini”, servendosi di una mediazione subculturale attraente per un segmento di società disinnamorata del senso cristiano della vita: insomma, una resa alla mondanità, come l’ha chiamata qualcuno. In fondo è sano e legittimo, dentro una comunità credente che si confronta sulla proclamazione dell’eterno vangelo, mostrarsi perplessi o anche contrari all’opportunità di servirsi di un’arte culturalmente così connotata, come è appunto quella dei manga. E non solo, ma c’è già chi comprensibilmente si rammarica del prevedibile merchandising che il fenomeno Luce promuoverà. Così è stato anche per i putti della Madonna Sistina, che hanno fatto la storia del marketing.
A rigor di cronaca, Luce è un caso piuttosto originale, perché non si tratta di un’opera commissionata dal Dicastero, ma di una proposta fatta al Dicastero dallo stesso disegnatore e che il Vaticano ha poi abbracciato volentieri.
Immaginate per un attimo lo stridore di trovarsi davanti da una parte l’opera del Caravaggio, secentesca e così attenta al vero, e dall’altra Luce, figlia dell’arte kawaii, digitale e ipersoggettiva. Possiamo chiederci: quale immagine di sé la Chiesa del 2025 espone a Osaka?
Chiedendo a Francesco, uno psichiatra italiano che da tempo vive e usa la cultura manga e anime come via ricreativa e terapeutica per prendersi cura di svariati disturbi anti-sociali, Luce è la quintessenza del soft power giapponese, un potere che influenza la comunità internazionale attraverso cultura e valori, diametralmente opposto al potere militare ed economico. «Cambia solo il mezzo attraverso cui filtrare il messaggio, ma se il contenuto rimane intatto, non c’è ragione di vederlo come una forma di secolarizzazione. Per parlare alle generazioni Z e alpha, in un mondo in cui la digitalizzazione e i personaggi fantastici stanno diventando un linguaggio comune, quella del Vaticano è una scelta saggia che mostra anche una disponibilità dell’istituzione religiosa a leggere i segni dei tempi. Qui in Giappone sono andati tutti in tilt – in senso positivo! – e molti parlano di nuovo di religione cattolica, con più curiosità».
Le narrazioni della letteratura manga, come sa chi le frequenta, raccontano bene quello che la Gaudium et spes indica come il carattere drammatico del mondo in cui viviamo. «L'umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si estendono all'insieme del globo. Provocati dall'intelligenza e dall'attività creativa dell'uomo, si ripercuotono sull'uomo stesso, sui suoi giudizi e sui desideri individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e d'agire, sia nei confronti delle cose che degli uomini» (n. 4). Ascoltare la voce dei tempi significa accettare la sfida dell’inculturazione: già nel VII secolo, papa Gregorio Magno non aveva difficoltà a comprendere che «conservando per gli uomini alcune delle gioie del mondo, li condurrete più facilmente ad apprezzare le gioie dello spirito».
Kawaii è l’aggettivo giapponese che identifica le fattezze dei manga come Luce, e che significa una costellazione di cose: tutte orbitano intorno all’idea di qualcosa di carino, un’amabilità bambinesca esposta e opposta alle logiche predatorie del mondo. Un mondo da cui evadere. La speranza cristiana invece non evade. Ha il volto di un Dio che entra nella vita dell’uomo per salvarlo dalle sue morti, dalla sua violenza, dal suo autosabotaggio. La speranza cristiana ha una meta fuori dalle mura delle nostre “camerette”, investe in amici e non in seguaci anonimi, non considera la diversità un’obiezione, e ha una fiducia nell’umano che neppure l’umano riesce ad avere verso se stesso. Luce allora corrisponderà al profilo di una mascotte cristiana se, con tutta la Chiesa che cammina nel giubileo, condurrà la persone a una speranza certa, all’incontro con Cristo che è la vera Luce, rispetto alla quale una mascotte può solo sperare di essere un faretto antinebbia, e sarebbe già qualcosa.