Abbi un cuore ardente, e piedi in cammino... perché tu sei missione!
Il tuo cuore agitato sente sempre una gran mancanza, un non so che di meno di quello che sperava, un desiderio di qualche cosa, anzi di molto di più
Non potrei trovare parole migliori, per dare avvio a questa piccola testimonianza, che le seguenti dichiarazioni contenute in un’intervista di qualche anno fa a papa Francesco, nella quale parafrasando una celebre espressione di dom Hélder Câmara il Santo Padre si è così espresso: “Quando il tuo battello, la barca della tua vita… dovesse cominciare a mettere radici nell’immobilità del molo, prendi il largo!”. Ed ha aggiunto: “Parti! E innanzitutto non perché avrai una certa missione da compiere, ma perché strutturalmente sei un missionario”.
Credo che sia assolutamente importante sottolineare il messaggio dirompente che mi pare di poter cogliere in queste ultime dichiarazioni, e lo vorrei fare di nuovo con la citazione di un concetto centrale dell’insegnamento del papa, chiaramente manifestato in più parti del documento programmatico fondamentale del suo magistero, Evangelii Gaudium (n. 273): La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare (…).
I pensieri che ho appena descritto fanno parte delle mie convinzioni da tempo, ma ricordo che, poco prima di partire ed anche nel primissimo periodo di permanenza in Brasile, nonostante questa consapevolezza diciamo “navigata” molte domande iniziarono ad affiorare, ed il loro nucleo emerse fortemente in un interrogativo molto semplice e al contempo profondissimo: io so davvero il perché del mio andare? Ma perché partire, proprio ora, per un viaggio missionario? Perché mettersi in viaggio, e per di più nella nostra vita di credenti, di discepoli del Cristo?
In Evangelii Gaudium (n. 20), si afferma che: Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti. Abramo accettò la chiamata a partire verso una terra nuova (cfr Gen 12,1-3). Mosè ascoltò la chiamata di Dio: «Va’, io ti mando» (Es 3,10) e fece uscire il popolo verso la terra promessa (cfr Es 3,17). A Geremia disse: «Andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,7). Insomma, secondo il Santo Padre, fatto salvo che ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, specificamente a ciascuno di loro, tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo.
E per quale motivo andare verso una terra così lontana, così distante, così “altra” come l’Amazzonia brasiliana? Potrei fornir facilmente, in quanto frate cappuccino, alcune risposte generali relative al fatto che vi sono evidentemente realtà missionarie da visitare, progetti e situazioni da conoscere, da prendere in carico, da poter eventualmente finanziare o supportare in vario modo ecc.
Detto questo, so bene, ora più che mai, che non basterebbero affatto, però, allo scopo di raggiungere il cuore di un desiderio come quello che è stato implicato in una simile partenza di cinque frati minori cappuccini dell’Italia centrale, ossia come quello che ha abitato la preparazione e lo svolgimento di quella che è stata la nostra esperienza in Amazzonia! Come poter spiegare meglio?
Si è trattato di un’attrazione a partire che ha attraversato gli ultimi anni della mia vita, toccando il mio cuore di giovane ragazzo missionario, ed appassionandolo sempre più alla scoperta di questo misterioso perché! Si è trattato di una scelta che ha avuto importanti ragioni formative e per cui ringrazierò tutta la vita! Si è trattato di avere l’opportunità di entrare con la totalità di noi stessi in un movimento di “uscita missionaria”, senza pensare affatto ad avere risposte immediate, risultati accettabili e soddisfazioni da poter raccontare e di cui potersi vantare!
Oggi, penso che il fuoco necessario ad alimentare il cuore, e a prepararlo per la partenza effettiva, non sia stato altro che l’assenza di una risposta, piena e definitiva, a tali interrogativi! È stato così che il mio cuore ha iniziato ad ardere, e a cercare frammenti di risposta. È arrivata alle mie orecchie, nei giorni direttamente antecedenti alla partenza, una proverbiale espressione brasiliana, secondo la quale si può trovare solo in Gesù la causa di certe iniziative, di certe scelte, di determinate partenze, e di alcuni importanti e misteriosi inizi, di certi Sì che la vita ti invita a pronunciare, e che piano piano ti presenta e ti chiede di offrire: “Só Jesus na causa!”.
Relativamente a ciò, mi hanno colpito recentemente alcune parole di don Luigi Giussani, che immaginano quale percezione di Sé avesse il Signore Gesù nel suo cammino terreno: «Ho sempre pensato: se uno avesse domandato personalmente a Cristo “Qual è il pensiero dominante su te stesso? Che cosa sei ai tuoi occhi?”, m’immagino che Egli avrebbe risposto: “Io sono il Mandato dal Padre”. Ossia, avrebbe definito Il Suo proprio esistere come missione (…)».
Con questo, vorrei condividere l’idea che la nostra vita su questa terra ha a che fare con un incontro infinito da poter fare, un’attesa che ci chiama ininterrottamente, e che il protagonista di tutto ciò è il Signore Gesù! Il focus senza dubbio è la Sua presenza da scoprire senza fine, ed è la conoscenza del Suo Vangelo secondo profondità e dimensioni mai prevedibili, mai del tutto concepibili e controllabili fin dal principio! È come se si ricevesse, in un dato momento e in un certo luogo, un invito ad approfondire la propria relazione con Dio, una chiamata a conoscerlo come mai prima, in un modo assolutamente inedito! E a conoscersi più in profondità, in comunione con i propri compagni di viaggio…
In quei giorni, mi ha entusiasmato pensare che la nostra vita ha senso non solo perché realizziamo ciò che sogniamo (e magari perché qualcuno ce lo riconosce pure, alla fine…), ma molto più radicalmente perché viviamo veramente su questa terra, cioè diventiamo capaci di andare incontro alla vita con fiducia e tenace speranza, con occhi simili a quelli degli indios appartenenti all’etnia tikuna incontrati lungo il Rio delle Amazzoni, con affidamento e laboriosità! E perché viviamo davvero in cammino, mossi anzitutto da un cuore che arde e si lascia riscaldare dalla forza di ciò che desidera, di ciò che incontra, di quello che sogna e progetta, di ciò da cui si sente attratto e verso il quale si sente chiamato sempre più, e da sempre. Rispetto a ciò, un piccolo flash proprio adesso mi torna alla memoria…
Sulla struttura scolastica adiacente al convento cappuccino di Benjamin Constant (cittadina lungo il Rio Solimões, vicino al confine dell’Amazzonia brasiliana con Colombia e Perù, dove siamo stati accolti per più giorni, durante la nostra permanenza in Brasile) si può leggere una scritta illuminante: JUVENTUDE QUER VIVER (I giovani vogliono vivere); ecco, in queste parole mi pare che si possa celare una parte considerevole del tesoro che ha illuminato la nostra esperienza missionaria! Un’esperienza ricolma dell’incontro con un fiume di giovani, di bambini, di famiglie, di ragazzi carichi di energie e di vitalità, pieni di desiderio e domande, e di curiosità per la nostra presenza, di giovani equipe missionarie piene di fervore e di amore per la Chiesa, di fedeli pieni di ricerca e di attrazione per il bene vero e la felicità che non finisce, di giovani frati brasiliani colmi di ricerca verso il significato del mondo in cui sono stati chiamati a dare la vita, e del desiderio di abbracciare con gioia la nostra forma di vita consacrata-francescana.
Posso dire senza dubbio di aver incontrato un bisogno immenso di vita, e che questo è ciò che più essenzialmente e radicalmente ci unisce, oltre ogni distanza geografica, climatica ecc. e diversità culturale! Un desiderio di migliorarsi e di crescere sempre di più, di nascere integralmente a sé stessi, e di trovare la via del compimento che è stato sognato e preparato per ciascuno di noi… Un bisogno di trovare quel posto nel mondo capace di diventare il proprio posto, il proprio tempo… la propria strada… la propria pienezza… il proprio viaggio… la propria luce, la propria vita!
Detto questo, mi potreste chiedere: ma che cosa effettivamente si va a fare? Quale compito, quale servizio, quale opera ha avuto bisogno della nostra presenza? Io stesso mi interrogo spesso su che cosa ho fatto davvero, su cosa abbiamo operato o realizzato in questo mese trascorso nelle terre di missione dell’Amazzonia brasiliana; e sinceramente non vi potrei rispondere se non con alcune parole di un amato poeta tedesco, che proprio in quei giorni missionari ho riletto, dopo molti anni dalla primissima volta in cui mi capitarono sotto gli occhi: “Il nostro compito è quello di compenetrarci così profondamente, dolorosamente e appassionatamente con questa nostra Terra provvisoria e precaria, in un modo tale che la sua essenza possa rinascere invisibilmente in noi. Noi siamo le api dell'invisibile. Noi raccogliamo incessantemente il miele del visibile per accumularlo nel grande alveare d’oro dell’Invisibile” (da una lettera di Rainer M. Rilke al suo traduttore polacco Witold von Hulevicz del 13 novembre 1925).
Vi risponderei che ci sono stati frangenti molto intensi, radiosi e faticosi insieme, oltre che interiormente molto forti, momenti in cui la fede e la preghiera hanno ricevuto alcune scosse, e dove le lacrime sono uscite, dentro e fuori; ci sono stati momenti in cui avrei dato tutto l’universo, pur di intuire un perché anche minimo da poter attribuire a certi scorci, a certe realtà di vita, ad alcune situazioni dure, e così profondamente nuove e diverse. Posso rispondere che esistono davvero luoghi e tempi rivelativi, dove avvengono incontri anche sconvolgenti, vitalissimi come sorgenti, e da cui non si esce affatto come si era entrati, da cui si può scegliere di esser illuminati per tutto il resto dei propri giorni.
Luoghi e terre in cui il semplice sostare fa accapponare la pelle, il guardare provoca vertigine, il posare lo sguardo in avanti fa emozionare ed interrogare, con tutto ciò che si è.
È come se fossero occasioni in cui si forgia un big bang silenzioso e quasi invisibile nella propria storia, da cui ha inizio il sentiero di un’esistenza sempre più rivolta all’altro così come a sé stessi, e sempre più attratta dal vero e sommo Bene!
Terre, e voci e volti, da cui si fa conoscere una lingua che tocca corde sconosciute della propria anima, da cui riesce a sorgere una musica inedita che inizia ad abbracciare i tuoi giorni e le tue ore! È come ritrovarsi in una culla mai prima ricevuta, che viene ad accogliere quella parte di sé stessi che aspettava solo questo momento, solo questo viaggio… per venire alla luce! È proprio vero, e non vorrei far altro che annunciarlo senza sosta: “Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo…”!
Vorrei concludere affidandomi alle parole congiunte del Santo Padre Francesco e di Hélder Câmara: