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ESSERE GENITORI OGGI

10 giugno 2024
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Proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 22 anni fa, la giornata Mondiale dei Genitori che si celebra il 1° giugno ci invita a riflettere al senso profondo di queste figure cruciali nella vita di ogni persona, e il cui contributo è determinante nella formazione della società.

Per riflettere sull’evoluzione del ruolo dei genitori e sui punti fermi che lo definiscono abbiamo chiesto la collaborazione di Ezio Aceti, psicologo, educatore, fondatore dell’associazione Parvus (bambino) che si occupa di terapie infantili e supporto alla genitorialità̀, nonché autore del volume “Oltre, dove sono i nostri figli” Edizioni Francescane Italiane.

Quando si diventa genitori?
Si diventa genitori nella misura in cui noi sentiamo che ci è stato dato un dono. Non è che si diventa genitori... è il dono che ci fa essere genitori.
Il dono di avere qualcuno che è oltre noi, che è il figlio in questo caso, e consideriamo il figlio non come cosa nostra, ma come qualcuno che ci è stato affidato e lo facciamo crescere. Allora questo dono, prima di ogni cosa, cerchiamo di conoscerlo bene, di vederne tutte le potenzialità, e poi cerchiamo di fare in modo che questo dono maturi.
Quindi non è un possesso. Questo passaggio è molto importante, perché altrimenti pensiamo che essere genitori è un potere. No! Essere genitori è invece un servizio! Ma non un servizio negativo, ma una cosa bellissima perché scoprendo le fasi evolutive dei bambini scopriamo tante cose di noi e scopriamo la bellezza dell’educare.

L’educazione nel tempo ha sicuramente subito delle trasformazioni dettate dalla naturale evoluzione delle cose…  l’autorevolezza e l’autorità che posto trovano oggi all’interno dell’educazione e quale dovrebbe essere?
Questo è un passaggio molto delicato perché spesso confondiamo i due concetti.
L’autoritarismo necessita di uno che obbedisce, ed è l’impostazione di una volta: “i figli devono obbedire ai genitori- i genitori sono portatori della verità”.
Mentre nell’autorevolezza è il figlio che fa le cose, non per obbedienza ma perché è attratto dai genitori e dalla loro autorevolezza, perché si fida di loro. E per quale motivo si fida? Perché i genitori sono andati verso di lui, lo conoscono, gli fanno fare le cose che sono alla portata del suo sviluppo evolutivo.
Quindi è vero che i genitori decidono quello che il figlio deve fare ma lo decidono perché lo conoscono. Se non lo conoscono invece gli impongono di fare.
Tutta la questione sta nella relazione.
Tutte le regole sulla faccia della terra non valgono niente se i genitori non hanno rapporto con i figli, mentre invece tutte le regole sulla faccia della terra sono importantissime se sono frutto della relazione con i figli. In gioco c’è la relazione, senza relazione le regole non servono a niente, con la relazione le regole sono tutto.

Parliamo di regole
Se la guardassi in questo momento io vedrei due cose: la parte esterna, la carne, il viso, la sua forma… ma tutta questa parte è sorretta dallo scheletro che lei ha. Tutte e due le cose servono.
Lo scheletro senza la carne sarebbe una cosa fredda, brutta, la carne senza lo scheletro diventerebbe una poltiglia, una cosa senza fattezze. Ecco! Questa è l’educazione, occorrono le regole ma con la relazione, allora diventa una cosa bella, splendida, stupenda. Diventa veramente umana, come è la bellezza dell’umano.


La nostra epoca ha tra le sue caratteristiche il “super-fare”.
I bambini fin da piccoli sono sollecitati a fare moltissime attività.
Che fine ha fatto la noia? E quanto è importante annoiarsi?

Traduco quanto ha detto in termini pedagogici.
È vero che i bambini sono più ricchi di stimoli e sono, probabilmente, più intelligenti di noi perché hanno la capacità di collegare tante cose, ed è anche per questo che facciamo fare loro molto.
Ma bisogna stare attenti a non commettere un errore: il fare senza l’essere.
Ecco il fare senza l’essere non serve a niente. Occorre invece tutta la profondità, la capacità dell’ascolto, la capacità di non fare niente, ma non perché non faccio niente ma perché sono rivolto alla bellezza dentro di me.
Noi avevamo la noia ma era una noia piena, non ci stancavamo di essere nella noia. Nella noia quando eravamo soli trovavamo la creatività, potevamo giocare anche con un banale pezzo di legno, cioè davamo senso a quei momenti, apparentemente, di solitudine.
Oggi il mondo è tutto rivolto verso l’esterno, verso il fare, verso l’efficienza. E questo non è di per sé negativo, ma occorre una profondità, un ascolto onesto. Allora dobbiamo educare i nostri figli all’ascolto, educarli a non fare niente ma perché sono dentro di loro e scoprono la bellezza di stare da soli con loro stessi. Questo è quello che manca oggi.

Altro tratto dei nostri tempi: la sovrabbondanza, di prodotti, di merci, di cose da cui il consumismo e il tendere a dare ai figli tutto ciò che vogliono e che si consuma in un batter d’occhio.
Forse in connessione con quel che ha detto sull’ascolto di sé stessi è il desiderio.
Quanto il desiderare qualcosa, anche un banale oggetto può invece essere fondamentale per la creatività?

Andiamo alla radice della sua domanda. Non è sbagliato avere tante cose. La ricchezza dei beni della terra e delle cose che abbiamo è importante per noi.  È però sbagliato l’insegnamento che viene dato a queste cose, perché il vero desiderio nostro, all’origine, è che noi siamo tutti, uomini e donne, tutti fratelli e sorelle.
Se questa ricchezza ed abbondanza che noi abbiamo la doniamo agli altri, non solo viene arricchita ma andiamo ad appagare a compensare l’insito desiderio umano di socialità, di relazione.
Noi siamo esseri relazionali. Se tutto quello che abbiamo lo doniamo, allora, noi realizziamo noi. Il nostro desiderio diventa il desiderio di tutti e diventa bello. Se invece noi lo teniamo per noi dopo un po’ diventa noioso, ci da fastidio, diventiamo egocentrici e non siamo neanche umani, diventiamo sub-umani, diventiamo narcisisti, perché il vero umano o è relazionale o non è umano.
 
La comunità?
La comunità dovrebbe essere il prototipo di quello che ho detto. Tutti desiderano comunità, tutti desiderano gruppo, tutti desiderano fratellanza. Persino la Chiesa nel promuovere il Sinodo è come se dicesse “la comunità è importante”. Per cui la comunità è lo specchio di quello che dovrebbe essere il futuro. Solo che non siamo abituati a costruire comunità. Non abbiamo ancora gli strumenti per fare comunità.
Dobbiamo cambiare il paradigma dal 2 al 3. Siamo tutti l’uno contro l’altro. E se nella vita pensiamo che c’è sempre qualcuno che ha ragione e qualcuno che ha torto non ci siamo, perché la comunità non la si fa così.  
La comunità si fa col paradigma del 3 pensando che tutti e 2 abbiamo ragione o torto, che la verità non sta in una parte ma è solo nella relazione. La comunità non ha al suo interno persone che la pensano allo stesso modo ma persone che, seppur con idee diverse, sono capaci di stare insieme. Questo è un cambiamento epocale, i mass media aiutano molto in questo ma ancora non siamo capaci di governarlo. Noi siamo ancora agli albori di una nuova epoca. Sentiamo tutti il bisogno del gruppo ma abbiamo ancora il sistema educativo che non facilita il gruppo. Dobbiamo arrivare al sistema educativo ternario che considera tutto come il cambiamento, non c’è chi ha ragione e chi torto ma tutti abbiamo ragione e torto.

Quindi anche il conflitto acquisisce una accezione positiva…
Il conflitto è fondamentale. Prima noi avevamo paura a rispondere ai nostri genitori, tenevamo tutto dentro e avevamo paura. Adesso siamo passati all’opposto, si litiga dalla mattina alla sera, tutti che denigrano l’altro.
Però litigare non è una cosa sbagliata, il conflitto non è sbagliato. Se io litigo con qualcuno vuol dire che lo considero. Solo che adesso litighiamo male, ci facciamo le guerre, ci facciamo le scarpe l’uno con l’altro. Il futuro, lo diceva Papa Francesco, sarà:” accarezzare il conflitto”, litigare bene. Perché la cosa più brutta non è il litigio ma l’indifferenza. Papa Francesco combatte l’indifferenza parlando di “sclerocardia”.

Come si fa a litigare bene?
Mai denigrare l’altro, avere invece capacità di ascolto, capacità empatica.

Concludiamo la nostra gradevolissima chiacchierata tornando alla giornata mondiale dei genitori, il cui tema per il 2024 è “La promessa del gioco educativo”.
Che cos’è il “gioco educativo” per Ezio Aceti?

Faccio un esempio: guardiamo i bambini quando giocano: a volte vince uno a volte vince l’altro, poi quando uno perde va in braccio alla sua mamma, ma dopo ritorna lì ancora a giocare, e vince, quindi perde l’altro, e stavolta è l’altro che va in braccio alla sua mamma…questo è il gioco educativo, cioè il sentire che nonostante tutte le fatiche che noi facciamo, il giocare che facciamo tra di noi, c’è qualcun altro da dove noi proveniamo, che ci consola e che ci ri-manda a giocare. Tutta la vita sta in un’unica cosa: sentire che proveniamo da qualcuno e questo qualcuno che ci ha creato, non ci abbandonerà mai, ci farà rialzare sempre, ci manderà sempre a giocare e quando avremo sbagliato Lui ci riprenderà sempre.
Lui vuole che noi giochiamo sapendo che la vita è tutta un gioco.
Di là non sbaglieremo più ma di qua è anche bello sbagliare.
E ciò che succederà di là è che questo qualcuno giocherà con noi.

Filippa Dolce

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