Fatti la camicia - quando hai la tela
Massimiliano Kolbe nacque nel 1894, in Polonia, da famiglia semplice e fervente nella pratica cristiana. A causa delle scarse risorse economiche, i fratellini Kolbe furono accolti dai Frati Minori Conventuali, perché studiassero. Massimiliano cominciò a sentire i primi segni della vocazione e, nel 1918 fu ordinato sacerdote.
Con l’affermarsi dell’anticlericalismo e le manifestazioni romane contro San Pietro e il Papa, Massimiliano maturò il pensiero che bisognava far penetrare l’Immacolata nel cuore degli uomini, perché l’infiammasse d’amore per il Figlio e li conducesse alla conversione. Ancora studente, nel 1917, fondò con questi propositi la “Milizia di Maria Immacolata” il cui motto è “Rinnovare ogni cosa in Cristo attraverso l’Immacolata”. Più tardi, la M.I. fu approvata a Roma canonicamente come “Pia Unione”. Qualche anno dopo, cominciò la costruzione di un convento-città, chiamato “Città dell’Immacolata”, una autentica fraternità francescana, basata sulla preghiera, che si popolò di religiosi, sacerdoti, conversi, aspiranti in ricerca vocazionale. Qui si viveva secondo la Regola di san Francesco, nello spirito della consacrazione all’Immacolata e una fattiva collaborazione per la diffusione della devozione alla Beata Vergine.
Padre Kolbe fu instancabile nella sua opera di diffusione ed evangelizzazione, fondò il “Giardino dell’Immacolata” in Giappone, che divenne un centro fiorente per la vita cattolica. Con la persecuzione razziale anche i religiosi della “Città dell’Immacolata” furono deportati in un campo di concentramento, dove si prodigarono per portare sostegno morale agli altri prigionieri. Mentre i compagni furono liberati, padre Massimiliano fu trasferito ad Auschwitz. Fu una presenza consolante per tutti, testimone della fede, messaggero di pace, pregava e faceva pregare, illuminava, infondeva speranza e affidava alla Madre.
Un giorno, un prigioniero riuscì a fuggire e secondo l’inesorabile legge del campo, dieci prigionieri venivano condannati al blocco della fame. Padre Kolbe si offrì in cambio di uno dei prescelti, un padre di famiglia. Questi poveri uomini furono buttati nudi nel blocco della morte e nulla venne dato loro, nell’attesa della loro fine. Padre Kolbe alleviò la disperazione con la preghiera continua a cui essi rispondevano e lentamente si consumavano. Dopo 14 giorni rimasero solo quattro in vita, fra cui Massimiliano. Si decise di fare loro una iniezione di acido fenico. I testimoni raccontarono che le sue ultime parole furono “Ave Maria”: era il 14 agosto 1941, vigilia della festa dell’Assunta.