Ignazio, soprannominato Teòforo (portatore di Dio), abbracciò la fede grazie all’ascolto della predicazione degli apostoli. Ricevette l’ordinazione sacerdotale e manifestò così le sue doti apostoliche per cui gli apostoli lo consacrarono vescovo di Antiochia, in Siria, uomo d'ingegno acutissimo e pastore zelante, un pilastro della Chiesa primitiva. Infieriva, all’epoca, la persecuzione dell'imperatore Traiano, che fece strage degli uomini della Chiesa più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella fama e nella santità.
Ignazio fu arrestato, condannato “ad bestias” e fu condotto in catene, con un penoso viaggio, da Antiochia a Roma, dove si allestivano feste in cui i cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, divorati dalle belve. Durante il lungo viaggio, egli scrisse sette lettere, in cui incitava tutti i fedeli di fuggire il peccato, di rimanere fermi nella fede, soprattutto di mantenere l’unità della Chiesa. E a chi pensava di poterlo aiutare a essere liberato diceva: “Voi non perdete nulla, e io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l’altare è pronto!”. Nell’anno 107, Ignazio fu gettato nell’arena e sbranato dalle belve.