Storie dai conventi

Lo scudiero di Padre Mariangelo

martedì 25 febbraio 2025 di fr. Andrea Gatto OFMCap
Un ricordo di Franco Burini

Lo scorso 15 febbraio ha chiuso gli occhi in questo mondo fra Franco, oblato della nostra provincia cappuccina del Centro Italia, tra i primissimi collaboratori di Frate Indovino. Un tifoso della Juventus – fino agli ultimissimi giorni! – e un sostenitore del Movimento Per La Vita, di cui volentieri si faceva divulgatore.

Franco era un fratello oblato, cioè offerto, come si offre un obolo. Nel suo caso l’obolo di una mamma che negli anni ‘50 del secolo scorso lo affidò, neanche adolescente, ai frati cappuccini di Perugia, perché non avrebbe potuto prendersene cura. Franco teneva la sua fotografia tra quelle dei suoi cari, sul comodino, come su un piccolo altare degli affetti. La sua devozione alla madre e ai suoi cari era tangibile.

Spesso, nella loro storia, i frati hanno acconsentito ad accogliere nei propri conventi – come ben prima era consuetudine fare nei monasteri – alcuni uomini o donne (oblati), la cui vita era donata al servizio di Dio. Una vita magari affiorata da origini familiari faticose oppure segnata da una fragilità fisica. Nel disegno di un Dio provvidente, nessuna fragilità è sprecata, nessuna vita è dimenticabile. Per quanto le Costituzioni non prevedano che questi fratelli siano vincolati giuridicamente all’Ordine attraverso i voti pubblici di castità, povertà e obbedienza, tuttavia gli è consentito di indossare il nostro abito, segno inequivocabile di una speciale appartenenza alla vita religiosa.

La scorsa estate passavo spesso a trovarlo in ospedale a Perugia, dove per qualche settimana era stato ricoverato a causa di un peggioramento delle sue condizioni. Strabuzzava gli occhi, vivaci e trasognati come sempre, e mi accoglieva con un premuroso Ciao cocco, nel suo peculiare tono di voce, bonario e pacioso. Non aveva con sé nulla, se non un telefono piuttosto datato sul comodino e una grande arrendevolezza di carattere, unita a un nitido sguardo di fede sulle cose. Era sempre esageratamente grato per quell’incontro quotidiano con l’eucaristia e con me, al punto che spesso si commuoveva e io stesso rimanevo smarrito e ammirato per quelle lacrime. Leggevamo il vangelo e gli chiedevo, quando non era troppo affaticato, di scambiarcelo a vicenda con poche parole. Franco cominciava subito citandone a memoria i versetti: Siamo nel vangelo di Matteo, al capitolo 20 dal versetto 1 al versetto 16. Non si è mai sbagliato di un capoverso.

Qualche anno fa siamo stati ospiti dell’infermeria, dove Franco viveva da diversi anni, per partecipare all’eucaristia con i nostri fratelli infermi. Al termine della messa tutti gli studenti c’eravamo raccolti intorno a lui. Era felice di raccontare le storie dei vecchi frati che aveva conosciuto nella sua lunga permanenza perugina. Ne parlava con grande affetto, chiamando ciascuno per nome e cognome e svelando molti dettagli delle loro vite, come se scorresse davanti ai suoi occhi la cronaca di un vecchio giornale, il diario delle sue molte, moltissime memorie. Poi si ribagnava le labbra con la lingua e ricominciava.

Franco veniva da Gioiella (frazione di Castiglione del Lago) e appena undicenne era stato accolto tra i frati cappuccini del convento di via Canali, dallo stesso padre Mariangelo da Cerqueto. Non vantava un’istruzione, né di certo si poteva considerare un ragazzo fortunato. Ma col tempo, alla scuola rigorosa di padre Mariangelo e della fraternità, Franco divenne lo scudiero di Frate Indovino. Servizievole senza obiezioni. È così che lo ricordano i frati che sono convenuti ai suoi funerali, lo scorso 17 febbraio.

Grazie anche alla sua memoria formidabile, il più spiccato tra i suoi segni particolari, egli fu tra i redattori delle prime bozze del santorale dell’Almanacco. In un’epoca ancora predigitale, Franco è stato l’agenda vivente dei contatti di padre Mariangelo; ricordava nomi, appuntamenti e ricorrenze alla perfezione. Come ci racconta Bruno – uno dei nostri storici collaboratori – Franco si proponeva anche per incarichi “di peso”: «Nei primi anni, quando il calendario registrava numeri meno eclatanti, Franco, spingendo un carretto a ruote grandi, arrivava sino alla stazione ferroviaria di Fontivegge per consegnare alla “carrozza postale” le richieste del nostro Calendario».

Aveva molti amici, e questo non stupisce. Ne ricordava a memoria i compleanni e gli onomastici, e con la puntualità di chi ci tiene davvero, alzava la cornetta per porgere loro i suoi auguri. Porgere era la sua arte, dallo sguardo amichevole alla parola sempre buona.

Era, a suo modo, un sapiente consigliere. Lo era per molti, anche per chi, potremmo pensare, per la propria posizione di rilievo non aveva bisogno di chiedere a un uomo tanto semplice. La sapienza cristiana sa che la semplicità non è dabbenaggine, ma una chiarezza di sguardo (e di cuore). E questa era indubbiamente un tratto di Franco. L’amore che aveva avvertito per sé, l’essere stato r-accolto dai fratelli, lo invogliava a ridonare accoglienza e a raccogliere le domande e le confidenze delle persone che lo incontravano. Teneva il peluche di un elefantino appeso a un armadio della sua stanza. Gli somigliava non tanto per la rotondità della sua corporatura, ma molto di più per la larghezza delle sue orecchie, come quelle di Francesco d’Assisi nel noto ritratto del Cimabue.

«Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all'insegnamento; chi esorta si dedichi all'esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità». Donare con semplicità, così Paolo consiglia ai Romani e a chi, come Franchino, ha ricevuto questo carisma. Questa vocazione al dono, che è di ogni cristiano in ogni stato di vita, brilla nella testimonianza di questo fratello oblato, che ha molto speso dei suoi talenti nelle “scuderie” di Frate Indovino e ha onorato il nome della fraternità con la sua esistenza discreta e gentile.

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