APRILE - L'ultimo posto
La virtù dell’umiltà
L’umiltà, dal latino “humus” (terreno), è la virtù di chi è consapevole dei propri limiti, del proprio essere dipendente dalla terra, dagli altri, soprattutto da un Altro. L’uomo umile è consapevole di provenire dalla terra, sa di non dipendere da sé, ma che deve la sua esistenza a Dio. L’umiltà implica la consapevolezza della propria piccolezza di fronte all’immensità dell’universo e l’umile riconosce il confine della propria storia.
Il mondo moderno invece non considera l’umiltà una virtù, anzi la guarda con compatimento, come fosse un segno di debolezza, di scarsa autostima. La confonde con l’arrendevolezza, la remissività, la timidezza. L’umile è considerato un uomo modesto, un debole, un vinto. Oggi quasi tutti cercano di prevaricare sugli altri, di dominare, di primeggiare. Non è elogiata l’umiltà, ma l’orgoglio, la vanagloria, l’arroganza. Essere umile pertanto vuol dire rendersi conto della propria superbia e combatterla.
L’umiltà è il modo concreto di tradurre le virtù teologali della fede, speranza e carità, infuse da Dio nella nostra anima nel giorno del battesimo. I maestri dello spirito sostengono che l’umiltà è la base, il fondamento di tutte le altre virtù. Perciò se la nostra vita non è radicata in una profonda e vera umiltà non è un’autentica vita cristiana. Senza l’umiltà, senza la capacità di riconoscere pubblicamente i propri peccati e la propria fragilità umana, non si può raggiungere la salvezza e neanche pretendere di annunciare il Cristo o essere Suoi testimoni.