SETTEMBRE - Il giudice disonesto
La virtù della perseveranza
Il termine perseveranza deriva dal latino “perseverantia” composto da “per” (a lungo) e “severus” (rigoroso). È la virtù che fa impegnare un uomo nella sua attività per raggiungere l’obiettivo che si è prefissato. Perseverare per raggiungere una meta significa mettere in campo tutta la propria energia interiore, senza lasciarsi sconfiggere o fuorviare da difficoltà, opposizioni o parziali sconfitte. Nelle difficoltà la cosa peggiore è rassegnarsi, tornare sulle proprie scelte, cambiare i propri progetti, mentre invece occorre reagire con fermezza e mantenere fisso il proprio obiettivo.
Alleata della perseveranza è la resilienza, che è, insieme, abilità di reagire di fronte agli urti inevitabili delle situazioni avverse e spinta a rimettersi in cammino. Nella teologia morale cattolica la perseveranza è la virtù che sostiene l’uomo nella lotta per il conseguimento del bene, senza soccombere agli ostacoli, alla stanchezza, o allo sconforto. Proprio perché è una virtù, la perseveranza non va confusa con la testardaggine o con l’ostinazione.
Queste infatti si nutrono di orgoglio e di esibizionismo, mentre la perseveranza è l’altro volto del senso di responsabilità. Con il suo stile di vita, e la sua perseveranza, il cristiano dimostra che vi sono progetti e obiettivi per i quali vale la pena spendersi fino in fondo e che, per raggiungerli, bisogna essere disposti a superare ogni tipo di difficoltà e, soprattutto, la tentazione, sempre in agguato, di ripiegare su sé stessi e perdere la fiducia nella Provvidenza di Dio