GIUGNO - Il chicco di grano
Il frutto del sacrificio
La parola sacrificio vuol dire letteralmente “sacrum facere”, rendere sacro qualcosa o qualcuno, offrendolo alla divinità. Scopo del sacrificio è la comunicazione con il sacro, con la divinità, per ottenere i suoi benefici. In questo senso il sacrificio è parte vitale della storia dell’umanità. Nell’Antico Testamento il sacrificio ebbe una notevole importanza, regolato da una legislazione del culto sacrificale contenuta specialmente nei libri del Levitico e dei Numeri.
Nel Nuovo Testamento la figura di Gesù sulla croce porta a compimento e sostituisce la figura dell’agnello sacrificale dell’antica alleanza. Il Suo sacrificio opera il passaggio dal sacrificio di cose esteriori a un’oblazione di sé esistenziale, a Dio e ai fratelli. Il sacrificio di Cristo è il dono totale di sé, della Sua persona, fino alla morte, ispirato da un amore senza misura, che va fino all’estremo. In virtù dei sacramenti dell’iniziazione cristiana e, soprattutto, partecipando all’Eucarestia, riceviamo la grazia di far passare nel nostro vissuto l’atteggiamento di donazione di Gesù Cristo. Il senso genuino, l’ispirazione e l’anima del sacrificio cristiano è l’amore, il dono di sé che, comporta spesso delle rinunce, anche dolorose.
Nell’accezione mondana, invece, il sacrificio appare come una privazione, un qualcosa che ci fa stare male e di conseguenza ci sembra insensato. Eppure oggi, nella crisi interiore della nostra modernità, ad essere frustrate, vuote e depresse, non sono le persone che si sacrificano per gli altri, animate da un ideale di servizio evangelico, ma quanti, pur avendo ricchezze e piaceri, non trovano uno scopo per cui vivere. La visione secolarizzata della vita si rivela insufficiente e incapace a soddisfare i desideri più profondi del cuore dell’uomo. Per questo, in molti cresce una domanda di senso e di spiritualità che promuova la loro esistenza verso qualcosa di veramente importante.