Il punto

Un dolore per un colore

martedì 25 marzo 2025 di fr. Andrea Gatto OFMCap
La storia di Andrea Spezzacatena e le allerte del magistero sul cyberbullismo

Nel maggio 2023 papa Francesco chiudeva a Roma l'evento di Scholas Occurrentes sulle "Città Eco-Educative". Nello spazio di un question time, il papa risponde così alla domanda di una giovane studentessa: «Il bullismo distrugge la vita. Ogni uomo, ogni donna, ogni ragazzo, ogni ragazza ha il dovere di essere autentico e il diritto di essere rispettato».

Un lavaggio andato male, e tutto è diventato rosa, compresi i pantaloni che Teresa aveva regalato a suo figlio Andrea. Scriverà nel suo libro-testimonianza: «Ho sicuramente commesso degli errori con mio figlio, ma permettergli di indossare quei pantaloni non è stato tra quelli». Quei pantaloni hanno dato due titoli: uno, nefasto, alla pagina Facebook creata per canzonare Andrea; l’altro, redento, al film uscito nel 2024 per la regia di Margherita Ferri, ispirato alla sua storia. Una storia che è stata raccontata dalla madre Teresa nel libro Andrea. Oltre il pantalone rosa (Graus Edizioni, 2013).

I temi che entrano nella sinfonia del film sono molteplici: le relazioni all’interno della famiglia, il trauma della separazione, l’amicizia e il mimetismo (essere come gli altri) nel tempo dell’adolescenza, il progresso delle tecnologie digitali, il (cyber)bullismo e la violenza digitale, l’omofobia, la religione e la religiosità, le impotenze della vita adulta, il suicidio giovanile, che è il triste esito di questa storia.

«Perché Dio non interviene quando qualcuno ci fa del male?». Questa è la domanda potentissima che Andrea rivolge a sua nonna, nella sua ultima vacanza in Calabria. La risposta della nonna rischia di essere un enorme cliché: «Lui dà l’esempio, sta a noi mettere in pratica». E poi un’ulteriore battuta, che sembra davvero una scivolata nell’insulsaggine: «Certo, Dio non ha fatto le superiori». Dio, cioè, non avrebbe nulla a che fare con il nostro dolore, persino Dio sembra alzare le mani dinanzi al mistero insondabile dell’adolescenza. Una battuta della voce narrante fuori campo (quella dello stesso Andrea) liquida l’adolescenza come un’età dimenticabile, ma usa una parola meno gentile. Ma forse c’è una responsabilità delle persone adulte nel considerare l’adolescenza una parentesi oscura nella vita di un figlio: così neghiamo a noi stessi l’occasione di incontrare i nostri figli perché noi stessi siamo ammalati di rassegnazione o indifferenza, o siamo incapaci di stare con i loro drammi, o con lo scacco di non avere risposte.

Ma Dio ha sempre cura di noi, sempre dà un valore alle nostre esistenze e, per parafrasare il papa, supporta la nostra autenticità, per farla sbocciare in una pienezza. Ad-ol-esco, c’è una tensione nel mio corpo-cuore verso un compimento. Questa tensione è un seme prezioso, che va supportato e amato, anche quando si nasconde e si ammutolisce.

Andrea è stato un adolescente creativo, pieno di desiderio e di vita. Ma la singolarità di un uomo che cresce oggi è esposta alla malia di feroci sirene. Se appartieni a un branco, sopravvivi (ma attenzione, lo scotto da pagare è quello di restare la fotocopia di qualcun altro); se invece, come accade ad Andrea (e a Sara, l’amica geniale che gli ha voluto bene), resisti alla logica del branco, perché scopri che avere una mappa è meglio che usare un geolocalizzatore, allora bisogna che chi ha cura e responsabilità della tua “educazione sentimentale” e del tuo futuro, apra occhi e orecchi. Fa impressione quello che una prof scrisse a Teresa dopo la tragedia: Tieni un profilo basso, confina il dolore nel silenzio, Andrea ha mascherato così bene il suo disagio, come avremmo potuto accorgercene? È vero, neanche Teresa non si era accorta dell’agonia del figlio, ma questo non scusa nessuno. Teresa è una madre trafitta-di-spada che nelle scuole e nelle piazze di questo paese, dovunque la chiamino, parla con tutti dell’urgenza di strappare i grappoli della violenza prima di subito. E Teresa augura ai compagni di Andrea, anche quelli che dopo i funerali sono spariti, di essere genitori consapevoli.

Quello che oggi chiamiamo cyberbullismo, da una parola che dovrebbe significare “timone” (cyber-) allude alla navigazione ingovernabile nella rete, e come peschiamo morti dal Mediterraneo, così sempre più spesso peschiamo morti da Internet – l’ultimo Davide, un tiktoker di 21 anni mercoledì scorso a Sesto San Giovanni.

Ci sono alcuni passaggi del film in cui viene fatta risuonare l’Ave Maria di Schubert. Prima Andrea la canta per la sua famiglia (sei amato e importante), poi la canta nelle audizioni per il coro del papa (sei riconosciuto), e poi ne ascoltiamo una versione con effetto di distorsione verso la fine, durante l’ultimo episodio di violenza che segnerà la svolta della storia. Lì non è più la voce di Andrea, ma la smorfia di un disco rovinato da una meccanica digitale. «L’ambiente digitale è anche un territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza, fino al caso estremo del dark web. I media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta, ostacolando lo sviluppo di relazioni interpersonali autentiche» (Dignitas Infinita, 61). A più riprese, dal primo decennio degli anni Duemila, fino a queste ultime dichiarazioni del magistero, la Chiesa – soprattutto nella persona del papa – invita a discernere il canto delle sirene digitali.

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