Dal 24 al 26 gennaio si è celebrato il primo giubileo, ed è stato proprio quello del Mondo della Comunicazione, che ha visto raccogliersi a Roma da oltre 100 paesi del mondo giornalisti, addetti stampa e le moltissime figure professionali che operano in agenzie, uffici, redazioni di giornali e media.
Papa Francesco lo ha ricordato anche all’udienza del 27 gennaio, presenti i presidenti delle Commissioni episcopali della comunicazione e i direttori dei relativi Uffici: «La comunicazione cattolica non è qualcosa di separato, non è solo per i cattolici. Non è un recinto dove rinchiudersi… ma lo spazio aperto di una testimonianza capace di ascoltare e intercettare i segni del Regno», e ancora: «Comunicare significa uscire da se stessi per dare del mio all’altro, è anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, un lavoro che costruisce la società, la chiesa. A patto che sia vero».
Comunicare, come comunione, ha una radice, mun-, che dice di un dono, un mutuo servizio, qualcosa che – nelle parole del papa – fanno anche il Padre con il Figlio nell’amore donativo dello Spirito Santo.
Abbiamo incontrato uno dei nostri fratelli, fra Domenico Rosa, anche lui presente a Roma in questa festa dei comunicatori, in quanto da molti anni giornalista e da qualche tempo parte integrante della nostra famiglia cappuccina.
Che cosa significa nella tua esperienza di giornalista, comunicare?
«Io vengo dalla cronaca nera. Mi sono formato tra i tavoli della questura e i vicoli di Firenze alla ricerca di notizie. Rimanere sui fatti, non mettere se stessi tra le righe mi ha insegnato sicuramente a comunicare la verità, ad essere concreti. Concetti basilari che ho ritrovato nella mia vita di fede».
Come ti sono arrivate le parole che il papa ha rivolto agli artigiani della comunicazione?
«Innanzitutto ho provato una bella sensazione nel sentire il papa ringraziarci per il nostro lavoro. Mi ha fatto poi sorridere il suo accantonare gli svariati fogli del discorso preconfezionato e parlare a braccio, “visto che ormai era ora di pranzo!”. Un uomo per l’appunto concreto. Mi sono ritrovato nella sua definizione del comunicare: uscire da se stessi e andare verso l’altro. Come se avessi avuto una conferma. Che dire? Una bella sensazione!»
Hai partecipato a questo Giubileo ritrovandoti con colleghi da tutti il mondo. Quale momento si è impresso di più nella tua memoria?
«Rivedere un’amica dei tempi dell’università, giornalista anche lei, laureata in Lettere a Firenze alcuni lustri fa. Avevamo appuntamento per l’indomani per partecipare insieme all’incontro con il papa in Aula Paolo VI. Non mi aspettavo che la sua voce familiare arrivasse alle mie orecchie al termine della solenne celebrazione per gli operatori della comunicazione nella basilica di San Giovanni in Laterano. Michela mi ha provocato un sussulto. Usciti dalla chiesa abbiamo passeggiato a lungo attraversando i fori imperiali. I suoi occhi luminosi di moglie e mamma, sentirla parlare della figlioletta Costanza mi hanno dato tanta gioia».
Dal racconto così vivido di fra Domenico, penna e cuore esperti di umanità, si intuisce che comunicare è davvero mostrare che il regno di Dio è vicino: qui, ora, ed è come un miracolo. Per quanto nulla di nuovo ci sia sotto il sole, sempre nuova è la voce dei protagonisti dei nostri miracoli quotidiani, gli incontri, le relazioni, i nostri spazi di condivisione e di ricerca comune della verità. Siamo reti, come quelle reti che sono state gettate all’inizio del Vangelo, non per imprigionare dati o accumulare notizie-spazzatura, ma per portare alla luce una narrazione buona, come dice il sommo pontefice, «per guardare oltre il banale, oltre il male».