Comunicazione e reciprocità: intervista a Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede.
Nell’epoca della rivoluzione digitale, che sta cambiando i modi di relazionarsi tra gli umani e crea enormi problemi in campo economico, sociale e politico, quali sono le radici che non possono essere dimenticate perché la comunicazione sia umanizzante? La reciprocità è l’elemento forse più utile per ritrovare una comunicazione mediatica adeguata ai tempi di oggi. Il pensiero di Paolo Ruffini, il professionista ora prefetto dell’organismo vaticano che si occupa dei media.
Michele Zanzucchi – La comunicazione, dunque, è via alla socialità e, nello stesso tempo, è fine della socialità. È uno strumento per aprire nuove socialità?
Paolo Ruffini – Trovo qualche difficoltà già nell’affermare che la comunicazione è uno “strumento”, come se fosse qualcosa di separato dalla persona umana. Provo meno problemi a dire che la comunicazione è il fine. Ma anche in questo secondo caso avverto una semplificazione che finisce per essere ingannevole. Certo, la comunicazione è più un fine che un mezzo, ma nello stesso tempo è qualcosa di intrinseco alla persona umana, è una parte di noi stessi e non è né qualcosa che si usa, né qualcosa a cui si tende. Non è né un mezzo né un fine. Semplicemente è. Tutti tendiamo a una migliore comunicazione, a una comunicazione che sia vera, che sia bella, utile. Sempre comunichiamo, con la parola, con lo sguardo. Si può comunicare persino col silenzio. Possiamo comunicare col corpo, con ogni particolare di noi stessi. Bene o male, certamente; e non solo dal punto di vista formale. L’importante è una comunicazione che sappia discernere tra il bene e il male…
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Michele Zanzucchi – La tua carriera è stata di successo. Quali sono gli insegnamenti che dopo cinquant’anni di professione comunicativa consideri universalmente validi?
Paolo Ruffini – Avere uno sguardo puro, senza preconcetti e senza pregiudizi. E poi lavorare in squadra. Le regole possono essere tante, ma la vera regola siamo noi, è il nostro senso di responsabilità che si esalta nel lavoro di squadra. Essere nel mondo senza essere del mondo è un altro buon principio, significa mantenere la giusta distanza, sempre. Qualche anno fa, alle soglie del 2000, il cardinale Etchegaray ci ammoniva come giornalisti: reagite al conformismo che impone una copiatura reciproca e alimenta una sola unica fonte d’informazione; lottate contro la dittatura dell’istantaneità (dunque anche dell’istantanea, della foto) che non è garanzia di verità; controllate il riflesso mediante la riflessione; date una gerarchia ai vostri messaggi, invece di intasarli alla rinfusa; non esitate a infrangere con le vostre domande e le vostre inchieste la cerchia di miopia collettiva e di egoismo partigiano. Sono anche queste buone regole.
Estratti dal volume "Comunicazione e reciprocità. Paolo Ruffini con Michele Zanzucchi", della collana Fratelli in Umanità, Edizioni Francescane Italiane, 2023.