Mentre i dieci giovani del Decamerone di Boccaccio, per fuggire dalla peste e dalle pene d’amore, evadono dalla città per ritirarsi in campagna e trastullarsi con delle novelle, per lo più licenziose, quest’anno, per otto mesi, otto gruppi di 25 giovani, di provenienze molto diverse, salpano sulla nave del progetto Med 25-Bel Espoir, per toccare le sponde del Mar Mediterraneo, tra Europa, Africa, Balcani e Medio Oriente, ultima tappa Marsiglia, a ottobre. Nella sezione Odissea del sito dedicato al progetto, scopriamo alcune parole chiave. Per la pace: si parte insieme per promuovere la cultura della pace e del dialogo. I giovani convivranno per lunghe giornate di navigazione, a stretto contatto con la sfida delle proprie diversità culturali e religiose, scrigni della loro umanità ricca e coraggiosa, pronti ad aprirsi. Istruzione: ogni sessione di viaggio dura 15 giorni, allo scoccare dei quali scriveranno della loro esperienza, che consentirà loro di maturare anche dei crediti, ben oltre e forse molto più che un esame di maturità, una maturazione di vita vera. Eccellenza: parola che non evoca solo prestazioni top score, ma implica la capacità umanissima di trascendersi, di brillare, di elevarsi sull’albero maestro e contemplare il mondo con chiarezza di visione; un “libro bianco”, una sorta di diario di bordo, sarà redatto durante la traversata, e poi consegnato nelle mani del papa, che fortemente ha incoraggiato il cantiere di questo ponte semovente sul mare. Fraternità: altra parola di questo pontificato, che echeggia e spiega, come le vele di questa nave, anche il senso della sinodalità, il cammino insieme, creare una rete di mutuo soccorso e di amicizia per la mobilità dei talenti. Mi vengono in mente le parole del professor Gregorio Vivaldelli: «La fraternità è quel magnifico veliero che ha il coraggio di solcare gli oceani della sofferenza umana, e se sono tanti i velieri, se noi siamo in tanti ad avere il coraggio di aiutarci e di aiutare chi si trova nei mari profondi dell’abbandono, anche questo nostro uscire in oceano aperto diventerà un bellissimo viadotto su cui il bene potrà scorrere. Sì, noi desideriamo che la via della pace attraversi le nostre case, le nostre città, i nostri paesi, ma ci accorgeremo che a sostenere questa via saremo noi con la nostra fraternità». Competenza: sarà un serbatoio di pensiero, questa nave, un laboratorio di competenze per chi ne sarà protagonista, nei vari ambiti, da quello economico a quello religioso, educativo e associativo. Sull’onda lunga di Economy of Francesco, ai più giovani è dato il timone di questo mondo creato per l’armonia dei cuori e declassato oggi a tempesta di armi e ormoni.
Come scrive Alessandro D’Avenia di Telemaco, «Non basta lo spostamento materiale perché ci sia crescita, ci vogliono spirito e corpo insieme, viaggio e ricerca, rischio e scoperta». Il viaggio di questi ragazzi servirà anzitutto ad abitare lo spazio del loro incontro, a orientare il desiderio di conoscersi realmente, senza chiudersi per questo in una casupola di campagna, ma salpando in mare aperto. La nave si muove sulla mappa dell’acqua, ha una rotta e tappe provvisorie a terra, non consente ormeggi definitivi, ma rilanci. Non a caso una nave è anche il simbolo del logo del giubileo della speranza. E allora davvero chi di speranza vive, disperato muore? Sì, se leghiamo la speranza a un devoto anelito di salvezza individuale. Ma «la speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri. Ed è speranza attiva, nella quale lottiamo perché le cose non vadano verso una fine perversa. È speranza attiva proprio anche nel senso che teniamo il mondo aperto a Dio. Solo così essa rimane anche speranza veramente umana» (Benedetto XVI, Spe salvi 34). Quello che dobbiamo volere per noi, forse, è di non cedere alla tentazione di guardare l’odissea di questi giovani da spettatori, ma essere noi stessi come i celeusti delle antiche navigazioni, quei rematori che con le loro voci scandivano il ritmo delle vogate e incoraggiavano le braccia a spingere i remi nel solco delle onde. La storia, alla fine, nell’ondeggiare alterno dei suoi corsi, sono le voci e le braccia di chi non si stanca di levare l’ancora.