Una mia cara amica di famiglia è incinta e, se i tempi saranno rispettati, partorirà proprio a metà di questo mese.
Ho pensato spesso a lei e di riflesso a tutte le donne che – in questo periodo ancora segnato dalla pandemia – stanno per mettere al mondo un figlio. La nascita di una nuova vita, spesso definita la cosa più naturale del mondo, in realtà comporta per ogni donna una vera e propria rivoluzione dal punto di vista fisico e psichico, con tutta una serie di importanti ricadute sul contesto familiare e sociale. Un radicale cambiamento della propria esistenza che, anche quando è fortemente desiderato e voluto, porta con sé piccole grandi paure e un senso di fragilità che oggi è stato fortemente amplificato da tutto ciò che stiamo vivendo e da una comunicazione spesso poco rassicurante.
Allora, per rasserenarle, proprio a loro voglio ricordare due semplici cose. Innanzitutto che l’umanità ha continuato a generare figli anche nelle situazioni e condizioni più ostili ed estreme (come guerre, flagelli naturali, minacce nucleari…) e che, poco più di duemila anni fa, una giovane donna – verosimilmente al nono mese di gravidanza – partendo da Nazaret insieme al marito Giuseppe, attraverso un lungo (156 chilometri) ed estenuante viaggio, con il solo aiuto di un asino e dormendo probabilmente per tre o quattro notti all’addiaccio, raggiunse Betlemme e, in un una grotta, diede alla luce… la Luce!