La storia del Centro Missionario di Assisi è legata a quella di padre Marcello Falini, che, rientrato negli anni ‘50 dalla missione in Amazzonia per motivi di salute, ha cercato subito un modo per mantenere un contatto fecondo con quelle terre, istituendo il primo segretariato per le missioni negli anni ‘60. Presto padre Marcello fu coadiuvato da alcuni collaboratori che lo aiutarono soprattutto nello smistamento della posta dei benefattori: negli anni d’oro, infatti, lo schedario conteneva circa 100 mila indirizzi e in un triennio si arrivarono a inviare circa 1 milione di missive! Padre Marcello resterà segretario fino agli anni ’90. A lui seguirà padre Valerio Di Carlo, recentemente scomparso, fino al 2014, anno in cui il centro diventa Fondazione e ne prende la direzione padre Carlos. Attorno al centro, oltre a numerose riviste, nascono realtà come il MUMA, Museo Missionario dell’Amazzonia, e l’associazione Ra.Mi. (Ragazzi Missionari), che in oltre 15 anni di attività ha dato la possibilità a tantissimi giovani di andare in giro per il mondo e scoprire, attraverso l’esperienza, il proprio spirito missionario.
Metti un giovane frate brasiliano alla guida di un centro missionario dalla lunga storia ed evoluzione e… il risultato sarà effervescente! È quello che è successo con frei Carlos Acàcio Gonçalves Ferreira, direttore del centro missionario di Assisi, dal 2014 Fondazione Assisi Missio.
Padre Carlos, come è organizzato attualmente il centro missionario di Assisi?
Dal 2014, anno in cui ne sono diventato direttore, il centro missionario è diventato Fondazione Assisi Missio: un modo per ampliare il nostro raggio di azione. Abbiamo un collaboratore che si occupa della segreteria e volontari che ci aiutano. Dal luglio 2020, inoltre, con l’unificazione delle provincie di Umbria, Abruzzo e Lazio, è nata la Provincia Serafica, di cui la Assisi Missio continua ad essere coordinatrice per quanto riguarda le attività missionarie.
Con una crescita delle missioni sostenute…
Esattamente: non più soltanto l’Amazzonia, missione sostenuta dalla provincia dell’Umbria e viva da più di 100 anni, ma anche il Madagascar e il Benin, che stiamo imparando a conoscere. E non solo: la nostra rete ci porta a sostenere anche tante altre realtà, come la missione di Gornja Bistra, in Croazia, portata avanti dalla Fondazione “Il giardino delle rose blu”; il volontariato locale in strutture per disabili, e il sostegno al territorio; a case di accoglienza per senza dimora; alla casa di riposo di Assisi, ma anche semplicemente alle famiglie in difficoltà che bussano alla nostra porta. Non da ultimo, abbiamo un vero gioiello che è il MUMA, il museo dell’Amazzonia, un prezioso strumento per conservare e far conoscere a tanti la realtà dell’Amazzonia in cui operiamo, soprattutto indigena. Attualmente, ad esempio, è presente una importante mostra.
Di cosa si tratta?
La rete MEU (Musei Ecclesiastici dell’Umbria) ha promosso il progetto “IncontrArti oltre l’Immagine”, che vede anche il MUMA protagonista. Il museo, infatti, ha coinvolto l’artista Tonina Cecchetti che, con le sue suggestive sculture, ha fatto dialogare l’arte etnografica presente al museo con l’arte contemporanea. La mostra “MUlher e MUsa, le Sacre Custodi della Vita”, propone un omaggio alla figura femminile. Due realtà artistiche a confronto, distanti ma unite da una narrazione: la donna. La ceramica umbra e l’arte indigena mettono il visitatore (per ora solo virtuale, in attesa della riapertu- ra) davanti alla valutazione immediata del territorio- identità, alla scoperta dei materiali, attraverso uno sguardo che va oltre e arriva ad una indagine di grande valore antropologico. Per noi è molto importante promuovere anche eventi di questo tipo!
Quali sono le altre attività promosse attualmente?
Purtroppo, l’emergenza Covid-19 ha bloccato tutte le nostre iniziative in presenza, incontri di associazioni, giornate missionarie, e anche il volontariato, sia locale che in terra di missione. Ecco perché l’evento del MUMA significa tanto, ora, per noi, perché ci permette di continuare a parlare di Amazzonia e di missione nonostante tutto.
Se potesse scegliere tre parole per descrivere il vostro operato, quali utilizzerebbe?
Senza dubbio i tre termini che caratterizzano la Fondazione Assisi Missio fin dalla sua nascita sono: animazione, che significa esserci, testimoniare, curare ogni evento e occasione di sensibilizzazione; ma anche cooperazione, il rimboccarsi concretamente le maniche e darsi da fare per sostenere progetti e persone; e infine formazione, non meno importante delle altre due, perché il bene va fatto bene e per questo è necessaria una formazione costante e continua di tutti i soggetti interessati.
In questi suoi anni di attività, c’è un evento che le è rimasto più profondamente nel cuore?
Sicuramente i meravigliosi tre anni in cui abbiamo messo in atto il Progetto Javarí. La richiesta di aiuto ci è provenuta nel 2013 circa dalla valle del Javarí (in Amazzonia), in cui vivono molti indios in condizioni spesso precarie. La diocesi di Assisi-Gualdo Tadino-Nocera Umbra ha accolto questa richiesta rendendolo progetto diocesano e organizzando un viaggio in cui anche lo stesso vescovo è partito per portare aiuti alle popolazioni autoctone. Tale progetto ha coinvolto tanti giovani volontari (Ra. Mi. e non) e insegnanti.
Tratto dal supplemento "Voce Serafica", n.4, 2021