I nostri fratelli e le nostre sorelle reclusi sono privati
della libertà, ma non della loro dignità. Sono figli
e figlie di Dio, fatti a Sua immagine e somiglianza.
E il piano di salvezza di Dio riguarda tutti gli uomini;
nessuno deve sentirsi escluso. Sulla Croce, Gesù
ha perdonato il “buon ladrone”. Con questo gesto
di perdono, cioè di dono di sé per l’altro, il Signore
parla all'umanità di tutti i tempi. Il Suo atto di estrema
misericordia deve infondere fiducia anche a
chi si sente completamente perduto. Gesù conosce
nell'intimo ogni persona e con il suo amore sconfigge
il male e il peccato. Nella pastorale carceraria
della Chiesa l’obiettivo primario è quello di aiutare
le persone recluse, così come le loro famiglie e gli ex
detenuti, a incontrare nuovamente Dio, a riscoprire
sé stessi, a risocializzare, a credere in una seconda
opportunità. Ogni persona carcerata per qualsiasi
reato deve avere coscienza del valore immenso che
ha agli occhi di Dio. Anche se la società continua a
emarginarli la Chiesa ha il pensiero e il cuore rivolto
ai detenuti, memore della Parola del Suo Signore:
«ero carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,
36). Il carcere non deve essere mai un luogo solo di
punizione, ma di riabilitazione e recupero, e soprattutto
deve essere un nuovo punto di partenza per chi
ha sbagliato e ha commesso dei reati. È necessario
ridare ai detenuti la loro dignità e offrire strumenti
che possano utilizzare nel momento in cui usciranno
di prigione e dovranno reinserirsi nella società.
Nella vita – ha detto papa Francesco incontrando un
gruppo di detenuti –, «Tutti sbagliamo ma l’importante
è non rimanere sbagliati». E ha poi auspicato
che la rinascita sia contagiosa e anche liberatrice e
che aiuti altre persone a fare lo stesso cammino, a
credere nella misericordia di Dio, nell’aiuto degli altri,
a non condannarsi per gli errori commessi.