Fede e Speranza
Carissimo padre Raniero, innanzitutto le esprimo i miei più vivi complimenti e auguri per la nomina a cardinale... meritatissima! Colgo l’occasione di questa straordinaria rubrica, per farle tre domande: cosa deve sperare un vero cristiano per il nuovo anno e, in senso generale, per il futuro? Quale esercizio spirituale consiglia a noi poveri peccatori per rinnovarci? Che opere compiere nel quotidiano per ritrovare un senso, una direzione alla nostra impoverita vita? Grazie col cuore! Un saluto e un abbraccio. Lettera firmata
Caro lettore, comincio la mia riposta partendo dalla sua ultima domanda: “Che opere compiere?”. Essa mi ha subito fatto ricordare che una domanda quasi identica fu posta un giorno a Gesù: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (Gv 6, 28-29).
Con questa risposta Gesù invita a passare dalla religione delle opere alla religione della fede. Entrambe le cose, si sa, sono necessarie per salvarsi, ma rispettando il loro ordine. Non prima le nostre opere e poi la grazia di Dio, quasi che questa fosse la ricompensa alle nostre opere; ma prima la grazia e poi le opere come risposta alla grazia. Diceva san Gregorio Magno: “Non si perviene alla fede, partendo dalle virtù, ma si perviene alle virtù partendo dalla fede”.
È una rivoluzione interiore che va continuamente rinnovata. C’è in gioco il fatto se noi creature umane siamo i debitori di Dio oppure i suoi creditori. Gli uomini hanno sempre concepito l’ascesa al divino come la scalata di una piramide, sforzandosi di arrivare fino al suo vertice con i propri sforzi speculativi e le proprie opere ascetiche. Incarnandosi, Dio ha rovesciato la piramide; si è messo lui alla base, ci ha presi su di sé e ci porta, per così dire, sulle sue spalle, appunto come il pastore con la pecorella smarrita.
Noi possiamo andare a Lui perché Lui prima è venuto – e continuamente viene – verso di noi. “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. […] Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4, 10-19). In pratica, il mio consiglio è di puntare al miglioramento del nostro personale rapporto con Gesù. Soprattutto in questo tempo di pandemia in cui non possiamo andare a trovare Dio in Chiesa, scopriamo la verità più bella del cristianesimo e cioè che è Dio che viene verso di noi, che ci viene a trovare là dove siamo.
Non dimentichiamo quello che ci ha promesso: “Io sono con voi tutti giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,8). E le opere buone (seconda domanda)? Le lasciamo da parte? Al contrario, con la sua grazia saremo forse più generosi nel dare un perdono, nell’accettare una croce, nel tendere la mano a un povero o a chi è solo. E adesso passiamo alla sua prima domanda: “Che deve sperare un vero cristiano per il nuovo anno?”.
La speranza è una virtù teologale e quindi è necessario tenerla sempre in vita. Essa ha per oggetto Dio, ma sostiene anche le nostre piccole speranze umane: la salute, il lavoro, il necessario per vivere, la pace in famiglia, insomma tutte le speranze buone e oneste che una persona può avere. La speranza non deve però distoglierci dal vivere il momento presente. Sarebbe un’illusione pericolosa. Noi non abbiamo che il momento presente. Il passato non c’è più e il futuro non ci appartiene.
Solo il presente è nostro.
Praticamente nel momento segnato dalla pandemia che stiamo vivendo, questo significa che mentre speriamo e preghiamo per una sua rapida fine, dobbiamo fare quello che ci è possibile e richiesto mentre ci siamo ancora dentro. La prima cosa è accettare le restrizioni imposte dalle autorità. È un segno di educazione civica e anche di obbedienza alle autorità ed è anche uno squisito atto di carità verso gli altri. Molti contagi e quindi molti morti, è risaputo, sono dovuti all’egoismo di persone che sfidano stupidamente il pericolo mettendo a rischio non solo sé stessi, ma inevitabilmente anche le persone con cui, in famiglia o fuori, vengono in contatto.
Vivere l’attimo presente per un buon cristiano, in questo momento, significa accettare la prova permessa da Dio, con tutte le restrizioni che essa comporta, fare il possibile per stemperare le crisi che inevitabilmente nascono nelle famiglie a causa delle accresciute tensioni e lo spazio ristretto in cui si svolgono. E poi, sì, sperare e pregare che il Signore aiuti scienziati e politici ad accelerare il tempo della liberazione.