C'è un tratto comune tra San Francesco e Don Giussani: il valore dell'esperienza, cioè della realtà.
Benché provenienti da ambiti culturali e storici così diversi, risalta in loro il primato di ciò che si vede e si esperisce, ma tramite questo l'esperienza del mistero di Cristo.
La realtà è Cristo diceva San Paolo (Colossesi 2,17). Questo versetto ci dice che l'incontro con il Signore passa sempre attraverso situazioni concrete e visibili che diventano però luoghi di incontro dell'Invisibile.
Per Giussani gli incontri con le persone e le varie circostanze della vita sono luoghi in cui si può incontrare Altro, non con un processo di astrazione mentale, ma semplicemente vivendo con profondità ciò che mi si presenta dinanzi.
Per San Francesco, nato e cresciuto in una bottega di commercio, è fondamentale ciò che si tocca. Proprio questo lo conduce, nella rilettura della sua vita fatta nel Testamento poco prima di morire, a individuare nell'incontro con il lebbroso il momento scatenante della sua conversione. Egli racconta che dopo aver usato misericordia a quell'uomo "ciò che mi sembrava amaro mi divenne dolce per l'anima e per il corpo".