Padre Mariano il Venerabile della TV italiana
“La sapete l’ultima?”. E giù una barzelletta sempre nuova. Quando incontrava per il corridoio qualche confratello, lo salutava quasi sempre con questa domanda. E dopo aver strappato il sorriso degli ascoltatori, contento, proseguiva il suo da fare. Ma anche a tavola, verso la fine dei pasti, dopo aver chiesto il permesso al superiore – allora si usava così – intratteneva i confratelli con un’amena barzelletta.
Anche nell’ambiente televisivo, dove lavorò tanti anni, offriva sempre una battuta a tutti, mostrando che si può sempre ridere anche senza essere volgari. Ed anche sul letto del dolore, ormai prossimo ad accogliere sorella morte, seppe scherzare. Ad un giovane medico che non riusciva a prendere la vena del braccio, nonostante la solerte collaborazione del paziente, e dovette ricorrere a quella del piede, disse: “Ed ora, signor Dottore, devo stringere anche il piede?”. La risata generale aiutò il povero medico a proseguire e sdrammatizzò il momento di tensione che si era creato. Scherzava anche sul colore della sua pelle (ingiallita a causa del tumore al fegato), dicendo che era diventato cinese. I giovani frati, fossero stati seminaristi, novizi o giovani sacerdoti che studiavano presso le università pontificie a Roma, lo ricordano tutti con simpatia.
Con i più piccoli giocava a pallone. Lui così alto, si metteva in porta e le parava tutte, non solo per la bravura e per l’età, ma anche perché allora si scendeva in campo con l’abito ed era facile aiutarsi con il saio a bloccare i tiri rasoterra. Con i più grandi, oltre ad intrattenerli con le immancabili barzellette, usciva a fare due passi nel centro di Roma, invitandoli a bere un sorso d’acqua ad una fontana vicino al suo convento, particolarmente fresca perché alimentata da un vecchio acquedotto. E poi condivideva con tutti, anche con il medico della sua comunità religiosa, il caffè che gli veniva offerto da qualche confratello.
Sì, questo era padre Mariano da Torino, il “frate della televisione italiana”, colui che, agli esordi del nostro piccolo schermo, dal 1955 al 1972, intrattenne i nostri genitori e i nostri nonni con fede, amabilità, e cultura ottenendo un indice d’ascolto altissimo, ancor oggi difficile da raggiungere. Ed essendo un personaggio famoso, i comici ne facevano delle caricature. Quella che Alighiero Noschese (1932-1979) faceva di lui, gli piaceva tanto e lo faceva ridere. Se il carattere socievole e schietto lo aiutava, se l’animazione della gioventù, prima nei circoli di Azione Cattolica e poi nella scuola, lo facilitavano nel rapporto con gli altri, il suo segreto era altrove. Era nel rapporto intimo e stretto con il Signore, nell’adesione convinta alla propria fede, nella partecipazione quotidiana alla S. Messa fin da giovane.
Di lui sorprende, leggendo la sua vita e i suoi scritti, che ci fu una impressionante continuità tra come visse prima di entrare in convento e poi da frate. E benché fosse un predicatore ormai affermato e, per questo, anche contrastato ad un certo punto dalla stessa azienda televisiva, che si fregiava di trasmetterne le apprezzatissime rubriche, egli era ben conscio che la cosa più grande, più importante ed utile che potesse fare al mondo era quella di celebrare, ogni giorno, la S. Messa. E che la preghiera, parafrasando un celebre libro di Dom Chautard, è l’anima di ogni apostolato. Per questo pregava lui e faceva pregare, soprattutto chiedendo aiuto alle monache di clausura. E tra di esse, aveva un particolare legame con le Clarisse Cappuccine di Torino. Ma egli era il primo a praticare questo insegnamento e tutti i suoi confratelli lo ricordano in coro, con gli occhi fissi in direzione del tabernacolo, dove arrivava subito dopo averli intrattenuti con una delle sue immancabili barzellette.
Il segreto della sua santità, riconosciuta anche dalla Chiesa, che nel 2008 ha proclamato l’eroicità delle sue virtù cristiane dichiarandolo “Venerabile”, è tutto racchiuso in questa semplicità di vita dove cultura (era stato un professore di Latino e Greco assai preparato ed apprezzato), capacità di ascolto, comprensione e intensa dimensione interiore si fondono e ci consegnano un modello da imitare. La lezione più bella, il sugello della sua vita non lunghissima, ma intensa, lo diede sul letto di morte: non solo, come ricordato sopra, continuando a trasmettere buonumore, ma vivendo sulla croce con filiale abbandono.
Le sue parole, il suo saluto inviato ai numerosi telespettatori, ai lettori delle sue rubriche, ai tanti estimatori e a ciascuno di noi, ci accompagnino in questo tempo dove le croci di certo non mancano: “Di vero cuore mando un saluto affettuosissimo a tutti coloro che soffrono, ricordando loro che, di tutto quello che possono fare nella vita, nulla c’è di più grande del dolore offerto spontaneamente, perché solo quello è veramente nostro. Come ci ricorda san Francesco in un bellissimo fioretto, riprendendo a sua volta un pensiero di san Paolo: di nessuna cosa mi posso gloriare se non della mia sofferenza per amore di Cristo. Ed è questo il ricordo più bello, credo, che vi posso lasciare, con l’augurio che tutti sappiate sfruttare al massimo la volontà di Dio. Pace e bene a tutti!”.
tratto da "Voce Serafica", n.3, 2021