Piccole cose nella Pandemia
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Abbiamo vissuto con apprensione, collettivamente e personalmente, l’inattesa emergenza del Coronavirus che pare ridurre il nostro pianeta, più che mai, a un unico villaggio, anche perché la rapidità delle notizie è tale che sembra che la contemporaneità annulli ogni distanza. Ma nel contempo avviene un fenomeno psicologico inverso: Codogno e Wuhan appaiono lontanissime. E il mondo si riduce alla nostra famiglia, alla nostra casa, gli aerei si svuotano, le pesche di beneficienza e le lezioni universitarie sono ricordi. Il nostro mondo si rimpicciolisce e ci ritroviamo a guardare la punta delle nostre scarpe, magari avendo in tasca una mascherina e un’amuchina comprate a peso d’oro.
Il fatto è che la persona umana ha bisogno del suo spazio, del suo ambiente familiare che la fa sentire viva, membro di una precisa comunità, limitata nello spazio, degno degli affetti familiari o amicali. La paura è uno di quei sentimenti umanissimi che, evidenziando i nostri limiti e la nostra finitezza umana, ci fanno più uomini, più donne, più noi stessi. E allora, anche il Coronavirus può aiutarci a ritrovare la nostra dimensione reale. E, perché no, a capire che abbiamo bisogno degli altri per essere umani.
Il virus ha provocato e provoca ogni giorno di più, accanto ai tanti effetti negativi e drammatici, non pochi miglioramenti nella convivenza civile. Direi che la società intera riprende a pensare alla qualità della propria vita, alle cose future, al bene. Questo libretto vuole suggerire questi elementi positivi, piccole cose che ci fanno sentire più umani, e nel contempo anche più vicini al Cielo.
Volete qualche idea dei piccoli-grandi miglioramenti che abbiamo avuto? Ad esempio, ci ha obbligati a riscoprire gli affetti più prossimi, a rivalutare la famiglia e la casa come luoghi di sicurezza; ci ha portati ad avere un po’ più di umiltà nel considerarci “superiori” alle forze della natura; ci spinge a uno stile di vita più sobrio, meno centrato sul continuo divertimento; ci spinge a pregare un po’ di più, a riscoprire la preghiera del cuore oltre a quella nelle chiese; ci fa smettere di pensare che gli “untori” siano solo all’estero, in particolare nei Paesi più poveri; ci fa riconsiderare il fatto che il guadagno sia il solo scopo della vita; ci fa vivere di più nell’attimo presente, senza poter programmare granché; evidenzia la generosità di tanti, tantissimi operatori sanitari; meno pubblicità intossica i nostri giorni; diminuisce il gossip, a profitto della testimonianza; ci curiamo maggiormente dei nostri anziani, per evitare che siano contagiati; fa allentare i cordoni della borsa a non poche istituzioni economiche e finanziare mondiali; ci fa considerare “più umani”, cioè coi nostri limiti irriducibili… E così via.