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Frate Indovino

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Il dialogo è il motore della pace

08 maggio 2024
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Siamo tutti dolorosamente consapevoli dell’attuale scenario mondiale: i tragici avvenimenti che si susseguono alimentano ogni giorno un senso di impotenza e disperazione di fronte a tragedie gravissime. Diventa difficile parlare di pace e pronunciare parole come fraternità o perdono. Oggi, si parla invece di “pace impossibile”, di “pace armata”, convinti che la guerra sia l’unica via che permetta una convivenza cosiddetta pacifica; per non parlare della speranza, che è ritenuta un concetto banale e astratto.

Eppure, nonostante l’evidenza quotidiana di tanto orrore, non possiamo cedere alla tentazione di dichiarare sconfitta la ricerca della pace. Sono i popoli stessi che soffrono violenza a domandare che si riporti al centro della storia ciò che è umano e che ci unisce.
La speranza mi viene quindi da innumerevoli persone che, a vari livelli, raddoppiano gli sforzi in un impegno ancor più radicale a privilegiare il dialogo con tutti, per attivare sinergie e percorsi utili a ristabilire una cultura della pace.
Ma da dove possiamo cominciare a costruire la fraternità? È davvero possibile cambiare le cose? Sono queste le domande che poniamo, spesso solo a noi stessi, per timore di essere ritenuti ingenui, ma che esprimono l’anelito al bene che è in fondo al cuore di ognuno.
La “regola d’oro”, presente in tutte le grandi religioni e nei maggiori sistemi di pensiero presenti nel nostro pianeta – “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, in negativo; oppure, in positivo, “fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te” – è la base della convivenza umana, che fa del rispetto il caposaldo delle relazioni.

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Tuttavia, il rispetto non basta perché una società possa esprimere le sue positività; serve un passo in avanti, quello del dialogo, nel quale io mi metto in gioco cercando di capire l’altro, di confrontare le mie opinioni con quelle altrui, di avviare processi di reciproca comprensione e di composizione delle diversità. In qualche modo, questo passaggio al dialogo è necessario per superare il rispetto che ci lascia comunque sulle nostre posizioni. Il dialogo è il coraggio della conoscenza, della reciprocità interessata al positivo che c’è nell’altro, per un maggior bene comune.
Chiara Lubich diceva che “dialogare significa anzitutto mettersi sullo stesso piano: non credersi migliori degli altri. Significa spostare tutto per poter  ‘entrare’ nell’altro. Questo dialogo realizza la fratellanza universale, per la quale vogliamo agire”.
Il dialogo, dunque, non è una tattica da applicare quando non si può fare altro. Chi dialoga non si aspetta risultati immediati: è come tessere un ricamo dove occorre cucire bene ogni punto, per arrivare, col tempo, a vedere il lavoro finito. Chi dialoga opera quindi sul lungo termine per giungere ad attivare processi di comprensione, riconoscimento reciproco, a scoprire la comune identità umana.
C’è però un passo decisivo per arrivare alla vera pace, il passaggio dal rispetto al dialogo per approdare all’amore. È volere il bene dell’altro come il proprio, è avere la convinzione che la diversità conosciuta, accettata e amata diventa fattore comune, diventa bene di tutti.
Per chi è cristiano, dunque, tutto ciò porta ad una vita interiore e sociale fondata sul comandamento che Gesù ha definito “nuovo” e “suo”: “Amatevi come io vi ho amati”. Potrebbe sembrare banale o un atteggiamento troppo semplicistico nella situazione di polarizzazione che tanta parte del mondo sta vivendo, ma – ne sono convinta – bisogna ripartire toccando il cuore di ogni persona, costruire ponti per risvegliare nell’altro la coscienza e formarla al bene; a pensare secondo le categorie della pace; a sostenere il disarmo, cominciando dal cuore.
Nel gran caos politico e sociale di questo scorcio di storia, rispetto, dialogo e amore sono la via, il percorso obbligato e possibile verso la pace, per tutti e per ciascuno. Serve un grande movimento planetario per sconfiggere la guerra e la violenza.

di Margaret Karram

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