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I Frati Cappuccini all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo

24 marzo 2020
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Sono cinque i Frati Cappuccini che svolgono il loro servizio presso l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. In questo tempo di pandemia, sono stati – oltre ai medici e a tutto il personale sanitario – praticamente gli unici che hanno potuto portare una parola di speranza e di consolazione ai malati ed assicurare a chi ci ha lasciato la grazia dei sacramenti.
Fr. Piergiacomo è uno di essi e ci racconta la sua profonda esperienza.

Quali caratteristiche ha assunto il vostro servizio nel corso di questa emergenza sanitaria?
Rispettando le varie precauzioni che ci hanno indicato i medici responsabili della prevenzione e quindi muniti di mascherina, camice e guanti, continuiamo a fare il nostro servizio nell’ospedale, andando nei reparti a visitare i pazienti. Si sono evidentemente ridotte le attività pastorali legate alla chiesa dell’ospedale, come le confessioni e le celebrazioni.

In questo periodo, la vostra presenza in ospedale ha acquistato un nuovo significato?
Sì. Nel tempo ordinario, cioè prima che capitasse la tragedia di questo virus, noi passavamo regolarmente tutti giorni nei vari reparti. Forse un po’ per l’abitudine di vederci, un po’ perché tutti erano più tranquilli, più sereni, e con una vita di fede e di preghiera anche normale, la nostra presenza si notava meno. Invece, adesso, più volte infermieri e medici sottolineano l’importanza del nostro stare in quel luogo e chiedono di ricevere una preghiera, una benedizione. E, anche quando sono all’interno della terapia intensiva, li vedi che ti salutano con la mano. Piccoli gesti che rivelano un atteggiamento nuovo, una maggiore attenzione al delicato ruolo che svolgiamo.

Contano su di voi…
Il personale medico sa che ci siamo e ci coinvolgono frequentemente. Ad esempio, nel momento in cui un paziente si aggrava o sta per morire, chiedono ai parenti e ai familiari se vogliono una vicinanza spirituale. Allora, d’intesa con loro, ci chiamano e noi andiamo a portare l’olio santo o andiamo a fare una preghiera se non abbiamo fatto in tempo a raggiungere il paziente ancora in vita. Quando non riescono a parlare con i parenti perché non raggiungibili, loro comunque richiedono la nostra presenza, soprattutto se sanno che il paziente era cristiano. Noi diamo sempre e comunque la massima disponibilità.

Nella terapia intensiva, considerando le limitazioni dovute ai pericoli, che cosa potete fare?
Nel nostro ospedale, per accedere alla terapia intensiva c’è un lungo corridoio dove medici e infermieri si spogliano di tutte le protezioni che hanno, si “igienizzano”. Ecco, noi da lì possiamo vedere tutti i pazienti nei letti e gli operatori sanitari che stanno svolgendo il loro straordinario lavoro.
Io di solito mi fermo sulla porta e prego. Se poi i responsabili ci invitano ad entrare e ci forniscono le protezioni, passiamo a dare una benedizione paziente per paziente.
Quando sono in pausa, benediciamo anche il personale sanitario, pregando anche per i loro familiari affinché siano protetti da questo virus. Ognuno di loro, tornando a casa, teme di infettare un proprio caro.
Purtroppo in questo periodo riusciamo a incontrare molto raramente i parenti dei degenti perché hanno possibilità molto ridotte di entrare in ospedale. Quando accade proviamo in tutti i modi a consolarli. Per loro è una grande sofferenza non poter assistere i loro congiunti.

Con gli altri malati ordinari il rapporto riesce a essere normale?
Credo che ormai l’80% dei reparti sia diventato Covid positivo. Negli altri rimasti aperti (come ematologia, ostetricia o patologia pediatrica), sempre con tutte le protezioni del caso, andiamo come si faceva prima e abbiamo la possibilità di stare anche un po’ più di tempo. Anche qui la nostra presenza credo sia ancor più apprezzata, perché in questo periodo hanno sospeso la gran parte delle visite e molti parenti, a causa di diversi blocchi, non riescono a raggiungere l’ospedale. Facciamo tutto il possibile per testimoniare la vicinanza e l’amore di Dio.

Che esperienza di Dio state facendo in questo doloroso momento?
Quando vedo nei medici, negli infermieri, nelle donne delle pulizie, in quelli che fanno manutenzione… quella grande bontà che emerge dal profondo, quella straordinaria disponibilità professionale e umana, sento che l’uomo è stato fatto a immagine e somiglianza di Dio. Che loro lo sappiano, che siano consapevoli che tutto quel bene viene da Dio, non saprei dirlo, ma io riconosco in quella loro luminosa operosità e dedizione la radice divina.

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