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Frate Indovino

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IL SENSO DELLA PACE

16 febbraio 2024
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Il senso della pace non può che derivare dalla guerra. Dove nascono o si minacciano le guerre, nasce il bisogno di pace.

In questi mesi la parola guerra sta correndo come una lepre e ciascuno di noi sta cercando di acchiapparla per la coda. La guerra è certamente una espressione della conflittualità umana, rappresenta uno scontro di forze, di interessi, che non trovano il modo di convivere. Ma dietro ogni guerra c’è anche una mitologia, una visione del mondo, un racconto che tenta di giustificare la violenza.

Nel mondo antico, quando la guerra era fatta con l’arco e le frecce, l’uomo più ammirato e rispettato della comunità era un guerriero. Un uomo coraggioso che, in nome di divinità vendicative e autoritarie, uccideva il nemico che era prima di tutto nemico dei suoi dei. Questo dava alla guerra un carattere sacro che la ammantava di un alone di mistero arcano. Erano le divinità di un cielo corrucciato che intervenivano, facendosi scudo di uomini prescelti per la loro prestanza. Il risultato è che le guerre venivano raccontate come grandi epopee popolari che entusiasmavano gli animi.

Piano piano
però le guerre si sono allontanate dal volere del cielo, sono diventate brutalmente terrestri. Inoltre, al posto di due guerrieri o di un piccolo scontro fra giovani scelti, si sono trasformate in azioni collettive. Così sono nati gli eserciti disciplinati e cruenti, che si avvalgono di armi sempre più sofisticate e micidiali e la guerra non riguarda più il guerriero con il suo corpo, ma un’intera armata. Il colpito non è il segnato dal destino, ma la popolazione di un paese, cominciando dai più deboli, inclusi i bambini piccoli inermi e incapaci di difendersi.

Da quando poi si sono inventate le testate atomiche, capaci di cancellare in pochi secondi una città intera con dentro tutto quello che c’è di più prezioso – corpi, intelligenze, valori, affetti, arte, scienza, creatività, come è successo con Nagasaki – la guerra è diventata talmente distruttiva che non conviene a nessuno farla. Fra l’altro le armi nucleari hanno una capacità di espansione e di inquinamento che finirebbe per colpire oltre al nemico anche chi le usa. Da qui una certa deterrenza che ci ha tenuti in pace per più di settanta anni.

Ma mentre siamo stati bravissimi a sviluppare l’apparato tecnologico, costruendo armi sempre più agili e micidiali, non abbiamo pensato a sviluppare il livello di civiltà umana. E per civiltà intendo l’etica pubblica, che poi non significa altro che abituare tutti gli abitanti della terra a rispettare l’ambiente, rispettare la vita umana, risolvere i conflitti con la diplomazia e la contrattazione, senza scatenare atti di distruzione che oggi sono diventati di massa.

La pace, come dice saggiamente papa Francesco, deve diventare cultura quotidiana di tutto il mondo. Dobbiamo imparare a controllare e sublimare i nostri istinti più aggressivi per creare e mantenere un mondo basato sulla pacifica convivenza degli esseri umani.  

Voglio ricordare
che il mondo si esprime e si mette in relazione in base a sistemi linguistici. La guerra ha un suo linguaggio, come ce l’ha la cultura. Ma mentre il linguaggio della cultura tiene conto delle diversità, è basato sul principio di conoscenza e di rispetto verso l’altro, il linguaggio della guerra tende a semplificare, a dividere il mondo in amici e nemici, e in quel genere di mondo si è legittimati a uccidere chi consideriamo diverso.

Il linguaggio
della intelligenza viene ucciso, reso cieco e fanatico in tempi di guerra. Tanto è vero che spesso, le informazioni deformate, la propaganda a una sola voce riescono ad innescare un odio diffuso verso il vicino, suscitando la paura del domani, il senso di appartenenza nazionale. In questo modo la guerra può infiammare gli animi, provocare furori di vendetta e portare alla catastrofe. Tutti abbiamo visto le oceaniche riunioni di folla sotto il balcone del duce quando annunciava che l’Italia dichiarava la guerra.

Per questo
il pericolo di una guerra nucleare non sembra scomparso con la moltiplicazione delle armi nucleari. È difficile fermare una popolazione infatuata e montata da un regime in ansia di espansione, convinta dal suo capo carismatico di avere diritti e privilegi al di sopra degli altri popoli.

Ma una
resistenza è sempre possibile. E di solito parte dal basso. Qualche volta si arma perché chi vuole la guerra brucia il terreno e incalza rabbiosamente. Ma la migliore resistenza è sempre quella di una massa consapevole che, con argomenti pacifici e con ferma volontà, rifiuta le armi, l’odio e l’annientamento del nemico.

Dacia Maraini
scrittrice
(tratto dal mensile di Frate Indovino, giugno 2022)

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