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Frate Indovino

La posta dell'Anima

Perché la sofferenza?

17 marzo 2020
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Caro padre Raniero,
sono felicissimo che d’ora in poi ogni mese potrò trovare sulla “mia” rivista la sua parola. La seguo da sempre e credo che lei abbia la forza spirituale e intellettuale per rispondere alle tante domande dell’uomo contemporaneo. In questo periodo mi sto chiedendo come mai il messaggio del Vangelo, apparentemente così chiaro, susciti tante diverse interpretazioni. Le faccio un esempio che mi riguarda da vicino. Mia sorella ha un tumore. Da quando ha scoperto di essere malata dice di non credere più in Dio. Non concepisce che Dio possa far soffrire la gente, come nel suo caso. Io sono convinto che Dio anche nel dolore continua ad essere amore, ma non riesco a trasmettere questa certezza a mia sorella.
Cosa mi consiglia?

Lettera firmata

Caro lettore, ricordati di quello che faceva Gesù, come prima cosa, quando incontrava qualcuno nella malattia o nel lutto, per esempio con il centurione che gli parlava del suo servo malato, con la vedova di Nain che portava alla sepoltura il suo unico figlio, o con le sorelle di Lazzaro morto. Non faceva loro discorsi sul perché e sul senso della loro sofferenza, ma soffriva e perfino a volte piangeva con loro. Solo dopo aver condiviso il loro dolore, li rassicurava dicendo: “Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se morto, vivrà”. D’accordo, c’è una differenza. Gesù, dopo aver pianto, poteva dire: “Io verrò e lo guarirò”; oppure: “Alzati e cammina!”. Noi non possiamo fare altrettanto. Che fare dunque? Ricordare una cosa (anche se non sempre è il caso di dirlo a chi soffre): Dio Padre non disse al suo Figlio sulla croce: “Alzati e cammina!”. Strinse anche lui i denti, per esprimerci in termini umani, sopportò lo strazio di assistere alla morte del Figlio, perché sapeva cosa avrebbe fatto di lui tre giorni dopo risuscitandolo da morte e chiamandolo accanto a sé nella gloria. Il Padre celeste soffriva con il Figlio sulla croce, non stava a guardare dall’alto. Molti artisti (chi la conosce pensi alla Trinità di Masaccio a Firenze) lo hanno capito prima dei teologi e rappresentano la scena della croce così: Dio Padre, il volto velato e le braccia distese, regge i due estremi della croce e tra il suo volto e quello del Figlio c’è una colomba che è lo Spirito Santo! Ebbene, quel Padre che era con il Figlio sulla croce, ora soffre con ogni sua creatura che soffre e, se si trattiene, è perché sa cosa farà di ogni lacrima versata nella fede e nella speranza. La cosa più utile da fare con chi soffre una situazione come quella di sua sorella o come quella di una madre che ha perso da poco un figlio, è aiutarla a convincersi che Dio non sta a guardare dall’alto a braccia conserte, ma è lì al suo fianco e soffre con lui o con lei. Non è facile accettare questo pensiero, ma bisogna confidare nel potere intrinseco che ha la fede di operare il miracolo. Quando questo avviene è un miracolo più grande che la guarigione fisica, perché questa presto o tardi finirà e in ogni caso non servirà a evitare la morte, mentre l’altra guarigione, quella dell’anima, durerà in eterno e ci procurerà, dice san Paolo, una quantità smisurata di gloria. Dio ha due modi di vincere il male fisico delle sue creature: o lo toglie con le risorse della medicina e a volte della preghiera (e lo fa spesso!), oppure dà loro una forza più grande del male per portarlo pazientemente e, a volte, gioiosamente, con Cristo senza essere schiacciati. Molti malati tornano da Lourdes fisicamente non guariti, ma spiritualmente più sereni e gioiosi che se lo fossero stati. Intanto dica a sua sorella che ora c’è un altro che prega Dio perché usi con lei la prima delle due possibilità.

Padre Raniero Cantalamessa

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